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Peggy Pickit guarda il volto di Dio

I danni dell’occidente in Africa.

In scena il testo politico di Schimmelpfennig. Il regista Cotugno: “Il sistema di

assistenza è un tentativo per mascherare colpe”


Di Francesco Gaudiosi



Peggy Pickit guarda il volto di Dio

Va in scena dal 7 al 10 aprile al Teatro Nuovo di Napoli il testo politico di Roland Schimmelpfennig, Peggy Pickit guarda il volto di Dio, diretto da Marcello Cotugno e tradotto dallo stesso regista assieme a Suzanne Kubersky, con Valentina Acca, Valentina Curatoli, Aldo Ottobrino ed Emanuele Valenti. Dopo l’esordio a Primavera dei Teatri, a Castrovillari, lo spettacolo debutta a Napoli come parte di una trilogia che nel tempo vedrà la messinscena di tre autori tedeschi di diverse generazioni. Si parte con la generazione “di mezzo” con Schimmelpfennig, per poi proseguire con Botho Strauss (la generazione “dei padri”) e infine con la selezione di un autore emergente nello scenario drammaturgico tedesco, in fase di selezione grazie al sostegno dell’Istituto Goethe di Napoli. Le scene sono di Sara Palmieri, i costumi di Ilaria Barbato, per una produzione Teatri Associati Napoli.

Cotugno, perché ha scelto questo testo?

“In Germania Roland Schimmelpfennig è uno degli autori più noti di drammaturgia contemporanea. Peggy Pickit possiede una matrice drammaturgica affine a quelle anglosassoni, che io apprezzo molto, a cui si aggiunge un percorso narrativo post-drammatico”: c’è un testo, ma la sua linearità viene spesso frammentata da avvenimenti simbolici o astratti. Non ho voluto elaborare una concezione realistica della messinscena, cercando di seguire questa non-linearità descritta dal testo”.

È una riflessione sul tema del neocolonialismo e sui danni dell’Occidente in Africa.

“Da una parte c’è una coppia di dottori borghesi che hanno fatto carriera, dall’altra una coppia che ha lavorato per sei anni in una ONG in Africa. Il tutto è ambientato in una sera a cena, nella quale le due coppie si riuniscono, legate anche da una bambina (Annie) che la coppia borghese ha adottato a distanza, e di cui i due medici volontari si sono invece presi cura durante il loro servizio in Africa. Ho apprezzato l’idea di portare in scena un teatro politico, con la speranza di sollevare delle questioni nel pubblico, riflettendo sulle responsabilità dell’Occidente nel processo di una de-colonizzazione che, forse, non si è mai completamente conclusa”.

Chi è Peggy Pickit nello spet--tacolo?

“È una bambola, costoso giocattolo occidentale destinato ad Annie, a cui si contrappone un’altra bambola, artigianale e di legno, che la coppia di volontari regala a Katie, la figlia biologica dei loro amici. Tutto ruota quindi intorno a due personaggi assenti, le due bambine, che “rappresentano la propria assenza”. In questo contesto, si sottolinea il divario tra i due mondi, occidentale e quello in via di sviluppo, ed è uno degli stessi protagonisti ad affrontare durante il testo un monologo, completamente staccato dallo sviluppo della narrazione, in cui l’attore intende provocare il pubblico stesso sull’argomento”.

Nella partitura scenica si avverte una frattura tra questi due mondi, borghese-occidentale e realista-sottosviluppato.

“Credo, come lo stesso Schimmelpfennig, che questa frattura non può essere sanata. I danni, economici, politici e culturali, sono stati troppi: l’intero sistema di assistenza finanziaria è di per sé un tentativo illusorio di mascherare le nostre colpe. I soldi non possono servire a ricucire legami umani, restano le cicatrici di un rapporto che, a mio avviso, non trova un margine di riparazione. Da qui l’idea di mettere insieme arte e politica, portando in scena questo allestimento”.


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