Una carriera vivace alle spalle e ancora tanta curiosità. Romano, ma napoletano per passione, il regista torna in città con Ionesco
Di Stefano Prestisimone
Ha attraversato la storia del teatro italiano, incidendo profondamente su di essa, Maurizio Scaparro, oltre 50 anni di carriera ma ancora la verve, la vitalità e la voglia degli esordi. Il maestro romano, e napoletano d’adozione, sarà al Nuovo di Napoli dal 12 novembre con Il re muore di Eugène Ionesco di cui cura la regia sulle musiche di Nicola Piovani.
Scaparro, ha compiuto 90 anni da poco. Che bilancio fa a questo punto della sua vita e della sua carriera?
“Devo dire che nonostante gli anni siano volati via velocemente mi sento come se avessi iniziato ieri e nutro sempre la stessa curiosità e la stessa passione per un padre, il teatro, che ha accompagnato sempre i miei passi. Lui mi ha donato molto in questi anni e spero di aver ricambiato nel giusto modo”.
Era critico teatrale dell’Avanti, poi è passato dall’altra parte della barricata.
“L’Avanti fu la prima tappa fondamentale che mi avvicinò al mondo teatrale. Quello che mi colpì di più era la possibilità di poter vedere il mondo anche con gli occhi del futuro. Man mano maturava dentro di me la consapevolezza di dover cambiare direzione, come una voce che costantemente mi ripeteva che quella sarebbe stata la strada giusta. Ed eccomi qua”.
Ha diretto il Festival internazionale del teatro per la Biennale, ha reinventato il celebre Carnevale di Venezia all’inizio degli anni ’80. Che ricordo ha di quell’esperienza?
“Sono stati anni indimenticabili che occupano un posto speciale nel mio cuore. Ho tante immagini di quei carnevali - perché ne feci più di uno - che sono impresse nella mia memoria: i tanti Pulcinella che vagano per le vie del centro portando un tocco di Napoli a Venezia, l’elefante con i circensi al seguito, la maestosa ragnatela di Sartori che trasformava piazza San Marco in un mondo incantato, per non parlare del Teatro del Mondo di Aldo Rossi che dalla rive di Venezia arrivò fino a Dubrovnik”.
Che rapporto ha con Napoli?
“Un legame che dura da molti anni. Come accennato poco fa, nel 1982 ideai il Carnevale Napoli a Venezia dove i tanti Pulcinella che vagavano per le vie del centro erano l’emblema, il simbolo chiave della cultura partenopea famosa in tutto il mondo. Quel connubio fu possibile anche grazie al sindaco di Napoli, Maurizio Valenzi, uomo di cultura che ricordo con affetto. Mi piace anche ricordare “Teatro del Nuovo Mondo e il nuovo Mondo del Teatro”, incontro internazionale sul teatro con grandi nomi italiani e americani come Dario Fo e John Malkovich, dopo il quale seguì un corso di tre mesi con studenti dell’U.C.L.A. e con insegnanti tra cui Ferruccio Soleri. Le mie esperienze a Napoli sono state molte e penso anche alla riapertura del Mercadante che curai personalmente”.
Prego, continui.
“Non posso dimenticare i diversi lavori fatti con Massimo Ranieri come il film L’ultimo Pulcinella, presentato anche al San Carlo di Napoli; lo spettacolo Viviani Varietà che girò in Italia e in Europa e Il teatro del porto, una ricerca di versi, prosa e musica di Raffaele Viviani. Per il Napoli Teatro Festival in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia misi in scena Il sogno dei Mille, libero adattamento di Roberto Cavosi da Les Garibaldiens di Alexandre Dumas, con Giuseppe Pambieri. Tanti dei miei spettacoli sono stati cooprodotti dalla Compagnia Gli Ipocriti diretta da Melina Balsamo, che ci ha lasciati troppo presto, ma che non posso dimenticare per l’affettuosa attenzione che ha messo sempre a disposizione del mio lavoro. Ricordo che proprio lei volle a gran voce la ripresa dello spettacolo Don Chisciotte a venticinque anni dal debutto”.
A distanza di sessant’anni dalla prima mondiale di Il re muore a Parigi, lei torna alla regia affrontando un lavoro più che mai attuale.
“Come dice giustamente lei è un lavoro più che mai attuale. Nel periodo del lockdown mi si presentò la possibilità, devo dire un po’ coatta, di riflettere per molto tempo e così iniziai una ricerca approfondita per trovare il testo giusto per un nuovo spettacolo. Avevo qualche dubbio ma a febbraio, con il susseguirsi degli scontri in Donbass e con l’inizio di un nuovo conflitto, ebbi la conferma a malincuore che questo testo era più che mai necessario”.
Ha detto di aver scelto questo lavoro per cercare di portare consapevolezza nelle persone in un momento storico come questo.
“La consapevolezza è quanto mai più necessaria ai giorni nostri. Ognuno di noi può essere il Re Bèrenger della situazione e questo non va sottovalutato. Negli anni abbiamo assistito a diverse guerre, molto spesso dettate dagli interessi di alcuni potenti, ma sembra che più passi il tempo e più l’uomo continui a ripetere gli errori del passato. Il potere, in realtà, condanna alla schiavitù gli stessi che godono di esso perché per gestirlo sono costretti inevitabilmente a forgiare catene non sempre visibili. Ma tutti in fondo vogliono la libertà. Libertà e catene sono due facce della stessa medaglia e sta a noi saperle comprendere veramente per non commettere più gli errori del passato”.
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