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Le Tartuffe ou l’hypocrite.

Alla luce di diecimila candele

I vizi alla moda passano per virtù. Molière, sismografo della società del tempo in cui visse. Le avventure e le disavventure della sua commedia immortale



moliere

di Giuseppe Sollazzo


Le Tartuffe ou l’hypocrite nasce alla luce di diecimila candele la sera del 12 maggio 1664, a Versailles. Tra comédie‑ballet e giochi d’acqua, gare equestri e fuochi pirotecnici. È il gran finale della festa di primavera “Les plasir de l’île enchantée”, offerta da Luigi XIV alla Corte. Ma il giorno dopo, a candele spente, la pièce è bandita. Censurata. Per Molière comincia una notte lunga cinque anni. Bisognerà aspettare, infatti, la sera del 1669, al Palais Royal, per vedere di nuovo Tartufo.

Cosa è successo nei cinque anni che separano la messa al bando dal successo clamoroso, è materia sulla quale ancora si dibatte. Charles Perrault, nella sua relazione sulle feste di Versailles, scrive che nonostante il divertimento del re e della Corte, e non dubitando delle buone intenzioni di Molière, la commedia viene proibita. Tartufo è apparentemente un devoto, chi sono costoro? Sono dei laici la cui missione consiste nella salvezza dell’anima dei malcapitati di turno. Francesco di Sales nel suo bestseller del 1609, Introduzione alla vita devota, raccomanda di “ascoltare questi conduttori d’anime come angeli discesi dal cielo…”. Nel caso di Tartufo, quest’angelo vestito di nero e di devozione, profumato di incenso e di rosario, è raccolto dalla strada da Orgone, ma una volta a casa del suo benefattore, prima si impossessa dei suoi beni, poi tenta non tanto devotamente di portarsi a letto la moglie. Scandalo. Molière si difende spiegando che la sua non è una satira rivolta ai devoti, bensì ai falsi devoti. Ma evidentemente è una distinzione sottile. Allora scrive al re una supplica in cui dichiara che compito della commedia è correggere i vizi dell’uomo. Ma non basta. Per capire le ragioni per le quali Tartufo diventa la commedia più perseguitata della storia del teatro, è necessario un flashback.

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Parigi 26 dicembre 1662. Palais‑Royal. Interno giorno. Le due del pomeriggio. Debutta La scuola delle mogli. Grande successo e un mese di repliche. La commedia è una satira alla concezione cattolica del matrimonio. Moglie ubbidiente e sottomessa alla volontà del marito. Scena clou è quella dell’elenco delle dieci massime della moglie perfetta. (Ella deve apparire solo al marito bella, per gli altri poco vale che sembri una zitella…). Il cielo della religione si rannuvola, partono i primi fulmini. Un alto magistrato del parlamento di Parigi, il presidente Lamoignon, parla di censurare alcuni passaggi. Il drammaturgo francese risponde da par suo, scrivendo un’altra commedia: La critica della scuola delle mogli. In cui satireggia i suoi detrattori, e a chi lo accusa di non rispettare le regole della commedia classica, risponde: “la regola di tutte le regole non è forse quella di piacere?”. E ancora: “non capisco perché voi signori poeti non parlate mai bene delle commedie che tutti corrono a vedere, e per quelle che nessuno vede, mostrate una tenerezza inconcepibile”.

Probabilmente è qua che nasce l’idea di Tartufo. L’idea di una satira contro coloro che – in nome della religione – approfittano delle fragilità degli uomini. Molière consapevole che i vizi alla moda passano per virtù, è il sismografo della società del suo tempo. Mentre Racine e Corneille scrivono imitando gli antichi, il geniale interprete di Sganarello toglie cipria e merletti ai suoi contemporanei. Il veleno nasce dalla Compagnia del Santo Sacramento, dalla fantasia popolare battezzata la Cabala dei devoti. Sorta di società segreta già messa al bando dal cardinale Mazarino, famosa per gli strali acuminati contro i balli, i divertimenti e, naturalmente, il teatro. Pochi giorni prima del debutto di Tartufo, un poeta di 23 anni, tale Claude Petit, viene mandato al rogo perché colpevole di aver scritto versi contro la Santa Vergine. Non soffiano venti di pace sui palcoscenici parigini.

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Secondo Georges Forestier, autore di una biografia su Molière che fa tabula rasa delle fake news accumulatesi nei secoli, è solo per motivi di opportunismo politico che il sovrano vieta la commedia. I religiosi attraverso le critiche all’autore di Tartufo, vorrebbero mettere un freno alla vita brillante del re, che all’epoca ha appena 26 anni, una moglie, varie amanti, ed è appassionato di danza, musica e teatro. E da parte sua il re non vuole certo trasformare il regno di Francia in un convento. Il cielo non deve pesare troppo sulla terra.

Molière intanto rimedita il suo Tartufo, e ne fa una versione addolcita, meno provocatoria. Il protagonista non è più un falso devoto, ma un uomo di mondo, un ipocrita di professione, e si chiama Panulfo. Toglie l’abito ecclesiastico, porta la spada e i capelli lunghi. Ai tre atti originali ne aggiunge due, il secondo e il quinto. Accresce la famiglia di una figlia, cambia il finale, e manda l’impostore in prigione. Dopo aver estorto un consenso di massima al re, il 5 agosto del 1667, con il titolo L’impostore, Molière presenta la vecchia-nuova pièce al zPalais-Royal. Secondo un corrispondente parigino de “La Gazette d’Amsterdam”, fu annunciata sotto il titolo: “Les Faux Dévots ou l’Imposteur”. Ma la vita è sempre un incrocio di destini. Quello di Molière incontra ancora una volta quello di Lamoignon, che in assenza del re fa le sue veci, e il giorno dopo proibisce la rappresentazione. E per evitare sorprese manda i soldati a teatro, per vietare l’ingresso agli attori della troupe. Inoltre, l’arcivescovo di Parigi Hardouin de Péréfixe, per scongiurare un ripensamento del re, promulga un editto in cui vieta di rappresentare, leggere e ascoltare la commedia, sia in pubblico che in privato, pena la scomunica. Dovranno passare ancora due anni e tre capolavori per la resurrezione dell’opera. Il 3 febbraio 1669 Clemente IX sigla ufficialmente la pace della Chiesa, il 4 il monarca dà l’autorizzazione a Molière, e il 5 – appena il giorno dopo – va in scena Tartuffe ou l’imposteur, (stesso nome e stessi abiti della versione in tre atti!). Con prezzi raddoppiati in tutti gli ordini di posto, senza annunci, senza pubblicità, fidando soltanto sul passa parola, fa un incasso record: 2200 livre, (circa 20.000 euro di oggi). Si racconta che anche Goethe amasse molto Tartufo, tanto da rileggerlo ogni anno, e restando sempre meravigliato dalla straordinaria perfezione del primo atto. Ma il capolavoro di Molière non è soltanto un testo magnifico, è anche una guerra politica, una battaglia di idee in alessandrini.

Chiunque incrociando un tartufo, un vanesio, un saccente, può restare sorpreso e deluso, ma solo un genio, osservando l’imperfetto spettacolo del mondo, può metterlo in rima e trasformarlo in poesia.


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