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Jo Clifford, il teatro che racconta la diversità


Jo Clifford,

di Francesco Gaudiosi


Jo Clifford è una delle più interessanti drammaturghe e interpreti del teatro inglese degli ultimi vent’anni. Nata con il nome di Johh nel North Staffordshire nel 1951, scopre la sua vocazione per il teatro quando inizia a interpretare ruoli femminili, conducendola a un percorso di transizione e a sfidare i non pochi pregiudizi del contesto sociale e dell’ambiente teatrale in cui lavora. Durante i suoi studi universitari all'Università di St Andrews, Clifford si innamora della sua della sua futura compagna, Sue Innes, nel 1971. Mentre Clifford prosegue il suo interesse verso la drammaturgia, suscitando particolare interesse nella scena teatrale scozzese, Innes si afferma come pensatrice, storica e attivista femminista. La loro unione dura 33 anni, fino alla morte prematura di Sue nel 2005.

Alla fine degli anni ’80, Clifford scrive diverse opere per il Traverse Theatre di Edinburgo, tutt’oggi celebre per essere un incubatore di sperimentazione attoriale e drammaturgica sia sul panorama scozzese che nell’intero Regno Unito. Tuttavia, l’interesse verso i testi di Clifford inizia a espandersi fuori dai confini del Regno Unito con il con il testo “Perdere Venezia”, messo in scena nel 1985. Mescolando il fascino del dramma spagnolo del Secolo d'Oro con un atteggiamento acutamente critico nei confronti delle illusioni dello Stato britannico negli anni successivi alla Guerra delle Falkland, “Perdere Venezia” è ambientato in Spagna e in Italia nella prima parte del XVII secolo, raccontando la controversa Congiura degli Spagnoli contro la Repubblica di Venezia del 1618. La storia è incentrata su un duca spagnolo, basato sul glorioso Pedro Téllez-Girón, uno spaccone egoista e arrogante che si sposa con una duchessa non del tutto entusiasta del matrimonio. Scoprendo che la donna non lo sopporta, risponde con un’invasione di Venezia, deciso a raggiungere la gloria militare e a espandere l’Impero del suo Paese. La natura farsesca e casualmente surreale della storia è evidenziata dalla relazione del Duca con il poeta di corte, Francisco de Quevedo y Villegas, un faccendiere politico che deve inventare rime istantanee per soddisfare ogni capriccio del suo padrone.

Nelle sue opere successive, Clifford focalizza la sua drammaturgia su opere che riguardano la questione di genere e di identità sessuale. Infatti, è con “La nuova tonaca di Dio” nel 2009 che Clifford decide di affrontare in chiave autobiografica il percorso di transizione avviato dall’artista scozzese all’età di cinquant’anni, precisamente dopo la morte della compagna Sue Innes. L’opera sfida il racconto biblico attraverso un linguaggio ironico, ripercorrendo il tema della nascita del creato attraverso una revisione dei canoni tradizionali della Genesi. Clifford si racconta nel testo con gli occhi di un bambino, che ascolta il dogma religioso intriso di contraddizioni, nel quale la Genesi prevede la creazione di un uomo e di una donna e non lascia spazio a un’identità “di mezzo”. È dallo stesso ascolto della narrazione biblica che prende piede quel senso di inadeguatezza del personaggio, che non si rappresenta nella netta dicotomia di genere raccontata dal testo sacro. Il monologo di Clifford è una narrazione liberatoria che ribalta le incrollabili verità raccontate a un bambino nel percorso di scoperta della sua identità di genere, che si rivelano tanto illusorie quanto fuorvianti, fino a creare una gabbia in cui John cresce come un prigioniero. “La nuova tonaca di Dio” è anzitutto un ribaltamento delle convinzioni precostituite attraverso un linguaggio ironico che arriva persino ad intentare un processo a Dio per le colpe di odio e dolore che la sua dottrina ha creato tra i “diversi”. Tuttavia, quella di Clifford non è un’accusa a Dio nella sua natura spirituale, quanto piuttosto al dogma religioso e alla natura secolare delle sue chiese che interpretano la parola di Dio alla luce di logiche terrene. Sono, appunto, le “tonache” di Dio che scambiano i propri pensieri per la voce del Signore ad aver creato convinzioni distorte, in cui lo spirito divino viene anch’esso subordinato all’interpretazione dell’uomo.

Nel 2009, Clifford riscopre la sua vocazione attoriale con “Il Vangelo Secondo Gesù Regina del Cielo” nel 2009, suscitando non poche proteste nello scenario politico e religioso scozzese. Il testo la vede infatti contemporaneamente autrice e interprete, di fronte alla sfida di scrivere un prosieguo de “La nuova tonaca di Dio”, focalizzato stavolta non sul testo biblico ma sul Nuovo Testamento. Come dice Clifford in una intervista “avevo appena iniziato a vivere come donna e per strada incontravo l'odio di persone che mi urlavano contro, dicevano cose orribili, ridevano di me. Mi chiedevo da dove venisse questo odio. Avevo letto i Vangeli e quando li ho letti mi sono profondamente commossa. Sono stata educata come cristiana e mi è stato insegnato che quando non si è sicuri di cosa fare, si dovrebbe cercare di pensare: "Cosa farebbe Gesù?" Ho pensato: "Beh, cosa farebbe Gesù se tornasse sulla terra ora e fosse me, una donna trans? Cosa farebbe e cosa direbbe?". Questa è stata l'origine dello spettacolo”.

Tre anni dopo, nel 2012, Clifford sfida nuovamente le convinzioni precostituite e il rapporto tra religione e identità di genere con il testo “Sex, Chips and the Holy Ghost”, che vede protagonisti una suora transessuale e un prete gay. Rompendo la quarta parete fin dall'inizio, la suora di Clifford e il prete di David Walsh informano che non ci sarà alcuna rappresentazione blasfema. Sono invece in scena per condurre un esorcismo purificatore sul pubblico come parte della loro attività imprenditoriale, dal nome soulclean.com (animapulita.com). La pièce fornice uno sguardo filosofico su questioni morali e teologiche, come il sistema bancario sostenuto dal Vaticano e gli atteggiamenti obsoleti della Chiesa nei confronti della comunità LGBT.

Clifford ha scritto circa 80 opere messe in scena in Europa, Nord America e America Latina, con numerosi riconoscimenti ottenuti sia nella scena inglese che oltreoceano. Il suo testo più recente è “Eve” (scritta insieme a Chris Goode), nuovamente per il Traverse Theatre di Edimburgo. “Eve” è una riflessione profondamente personale sul viaggio di una donna trans. Da un’infanzia oppressiva negli anni Cinquanta ai giorni nostri. Con un testo profondamente autobiografico, “Eve” è forse il racconto più autobiografico della Clifford, condividendo con il pubblico una storia straordinariamente personale che celebra le vittorie della sopravvivenza e della realizzazione di sé, in un contesto di cambiamenti sociali e politici senza precedenti.


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