De Fusco alla regia
di Veronica Meddi
Al Sannazaro di Napoli dal 22 aprile, La locandiera con la regia di Luca De Fusco. In scena, tra gli altri, Lara Sansone e Gennaro di Biase, con le musiche di Paolo Coletta.
De Fusco, perché trasferisce l’opera negli anni ’50?
“Perché la borghesia, classe nascente della Venezia del ’700, somiglia alla borghesia che rinasce nell’Italia dell’immediato Dopoguerra. Sono due classi fiduciose nel futuro, laboriose, che credono nel rimboccarsi le maniche. Portandola vicino al nostro tempo la si rende più riconoscibile, anche per gli spettatori”.
Mirandolina sposa Fabrizio, rimettendosi alle volontà paterne. Goldoni, alla fine, non ha più creduto a questa sfida?
“Penso ci credesse veramente. E, nella parte del testo che mi convince meno, ho alimentato uno scambio tra i due, che si divertono a cantare sulle note di un juke-box presente in scena. Così ho creato un feeling che, in realtà, nel testo non è abbastanza approfondito”.
Pensando al cast e chiudendo gli occhi, qual è l’immagine che le si palesa?
“È Lara che con la sedia rivoltata all’indietro, dialoga col pubblico. Lei è bravissima, e quando capita che l’amicizia teatrale diventa un’amicizia personale è sempre un supplemento di gioia lavorare insieme. Tutto il cast è importante, Giacinto Palmarini fa un Cavaliere di Ripafratta magnifico, lo stesso si può dire degli altri attori”.
Mirandolina credeva nell’amore?
“No. Lei è il doppio del Cavaliere di Ripafratta, l’uno ha repulsione delle donne, l’altra degli uomini. È cinica, e per questo il finale conciliatorio è la parte dolciastra del testo che mi piace di meno. Mirandolina non è una brava persona, non è neanche Hitler, ma non è un personaggio positivo”.
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