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Il Maccartismo nell’opera di Arthur Miller

Nel "Crogiuolo" la metafora della caccia alle streghe degli anni '50 in Usa



Il Maccartismo nell’opera di Arthur Miller
Arthur Miller

Di Martina Panachia


Maccartismo. Una parola, molte vite spezzate. Ci troviamo in America, anni ’50. Il nome deriva dall’allora senatore Joseph McCarthy e incarna la feroce campagna di persecuzione nei confronti di comunisti o simpatizzanti, presunti tali o sospetti, considerati elementi sovversivi all’interno della comunità statunitense. Un’autentica caccia alle streghe che toccò anche Hollywood, dove chi ritenuto legato al Partito Comunista finiva nella “Lista nera”. Tempi bui per l’enorme “cast” artistico che lavorava in quel famoso distretto di Los Angeles in California. Personaggi come Elia Kazan (regista di Un tram che si chiama desiderio e Fronte del porto con Marlon Brando) furono chiamati a testimoniare davanti alla Commissione per le attività antiamericane, costretti a fare nomi di colleghi, distruggendo carriere o quanto meno rallentandole. Ancora, a causa delle sue propensioni comuniste, lo sceneggiatore Dalton Trumbo, la cui storia viene ripresa nel film L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo con Bryan Cranston (Breaking bad), condannato a 11 mesi di prigione dovette trasferirsi in Messico dove continuò a scrivere per il cinema sotto falso nome. Molti altri furono colpiti dall’ondata repressiva che aleggiava nel Paese, anche a discapito di chi notoriamente “simpatizzante” non era. E come ogni periodo storico di incisiva importanza, ci sono stati autori che ne hanno parlato nelle proprie opere. È il caso di Arthur Miller. Drammaturgo e sceneggiatore di New York, e ultimo marito di Marilyn Monroe, è colui che ha riportato metaforicamente in un’opera teatrale in quattro atti, Il crogiuolo, la caccia alle streghe della sua epoca, creando un parallelismo con quella avvenuta a Salem in Massachusetts nel 1692 dove giovani donne vennero perseguitate con l’accusa di stregoneria. Il crogiuolo, dramma che debuttò a Broadway al Martin Beck Theatre nel 1953 con la regia di Jed Harris, può giustamente essere letto in chiave di denuncia contro il clima maccartista di cui lo stesso autore fu vittima. Per la realizzazione dell’opera, Miller si recò personalmente nella città di Salem, interessato ai documenti dei processi alle streghe e ai modelli linguistici necessari per i dialoghi.

L’opera arrivò in Italia nel 1955 al Teatro Quirino di Roma, tradotta da Luchino Visconti e Gino Bardi. Regia, costumi e scene furono opera di Visconti mentre tra gli interpreti spiccarono Lilla Brignone, Gianni Santuccio, Paola Borboni e Adriana Asti.

Come spesso accade, da un’opera teatrale è tratto un film, ed ecco che nel 1996 nelle sale cinematografiche uscì La seduzione del male di Nicholas Hytner, la cui sceneggiatura venne curata dallo stesso Miller. La pellicola sfoggia un cast stellare con Daniel Day‑Lewis, Winona Ryder, Joan Allen. Prima di questa trasposizione cinematografica, candidata all’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale, del Crogiuolo era già stato realizzato un lungometraggio da Raymond Rouleau nel 1957, Le vergini di Salem, della cui sceneggiatura si occupò lo scrittore francese Jean‑Paul Sartre.

Il crogiuolo torna a teatro con la regia di Filippo Dini al Teatro Nazionale di Napoli dal 29 novembre al 4 dicembre, nella traduzione di Masolino d’Amico, con Manuela Mandracchia, Virginia Campolucci, Pierluigi Corallo, Gennaro Di Biase, Andrea Di Casa e lo stesso Dini.


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Una scena del film La seduzione del male

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