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I fratelli De Filippo e gli influssi di papà Scarpetta

Aggiornamento: 23 nov 2022

La regia di Rubini: “C’è quella scena in cui il padre dice a Eduardo che se Vincenzo aveva il nome, lui aveva l’arte. Se a Eduardo non era stato riconosciuto il nome, a Vincenzo non era stata riconosciuta l’arte. In modo diverso, erano entrambi orfani”


IL TEATRO NEL CINEMA


di Antonio Tedesco


Anni di lavoro intorno a questo progetto. Una preparazione capillare, meticolosa. Uno studio approfondito delle fonti, memoriali, studi critici, saggi. Un accumulo di materiali utile e necessario per ricostruire un mondo”. Il mondo è quello di I fratelli De Filippo, il film di cui Sergio Rubini ha curato la regia e collaborato alla sceneggiatura, e che dopo un breve passaggio in sala ha ottenuto grandi successi di ascolto sulle reti RAI. Mario Autore, Anna Ferraioli Ravel, Domenico Pinelli sono rispettivamente nei panni di Eduardo, Titina e Peppino.

Un gran lavoro, Rubini, sicuramente. Ma gli attori? Lei si è confrontato con la messa in scena di tre icone, tre mostri sacri…

“Non sono partito cercando somiglianze fisiche. Per i ruoli principali cercavo soprattutto degli attori che avessero dei modi di essere, delle affinità psicologiche con i personaggi che dovevano interpretare. Sulla qualità della recitazione non ero preoccupato, sapevo di muovermi in un territorio sicuro. Ciò che intendevo cogliere era una scintilla, un segno, un’aura che racchiudesse l’essenza, il carattere del personaggio. Mario Autore, per esempio, pur alla sua prima esperienza cinematografica, aveva quel qualcosa nel portamento, nel tono di voce, nell’atteggiamento che si adattava benissimo all’immagine di un giovane Eduardo. Poi prima delle riprese abbiamo fatto molte prove, c’è stato un intenso lavoro di sinergia tra Cinema e Teatro. E devo dire che è stato entusiasmante raccontare questi personaggi nel momento magico della loro giovinezza”.

Il film rende bene le tensioni sotterranee che scorrono nei vari rami della famiglia sotto gli influssi del “patriarca” Eduardo Scarpetta. Come si è districato tra le fonti che a volte offrono punti di vista diversi e in alcuni casi discordanti?

“Innanzitutto abbiamo lavorato sui tratti comuni, inoppugnabili. E abbiamo cercato di dare voce nel modo migliore possibile a tutte le istanze soprattutto caratteriali. Poi si trattava, ovviamente di effettuare una ricostruzione in forma di fiction, con la necessità, quindi, di colmare dei vuoti, di sciogliere dei passaggi”.

Ma è stata proprio la questione sulle origini familiari, probabilmente, il nodo irrisolto fra Eduardo e Peppino, che ha portato poi, alla loro rottura definitiva. Peppino diceva che Eduardo voleva “nascondere la polvere sotto il tappeto”…

“La questione sta nella maniera in cui ognuno di essi ha reagito a quel trauma originario. Peppino ha avuto una reazione tipica da attore. Ha parlato, ha esternato, si è espresso, ha sfiorato il gossip. Eduardo, invece, ha avuto una reazione diversa, da autore. Ha elaborato le ferite attraverso i suoi lavori drammaturgici, le sue commedie. I suoi traumi trapelano sotto traccia nei lavori che ha scritto, penso in particolare a Filumena Marturano”.

E Vincenzo Scarpetta? Era veramente così cinico e interessato nei confronti dei fratellastri?

“Nel film non abbiamo voluto dare un’immagine cinica o, in ogni caso negativa di Vincenzo Scarpetta. È stato anche lui vittima degli influssi paterni. C’è quella scena in cui, non visto, ascolta il padre dire a Eduardo che se Vincenzo aveva il nome, lui aveva l’arte. Quindi lo stesso Vincenzo, da quel momento, vive a sua volta una situazione di frustrazione nei confronti di Eduardo. Se a quest’ultimo non era stato riconosciuto il nome, a lui non era stata riconosciuta l’arte. Entrambi orfani, in un certo senso, seppur in modo diverso. Vincenzo è una personalità dalle molte sfaccettature. Era combattuto da sentimenti e necessità contrastanti. Noi abbiamo ricostruito il personaggio dovendo anche colmare dei vuoti, dei non detti. Di sicuro, però, sappiamo che dopo l’esordio dell’atto unico Natale in casa Cupiello, del 1931, i De Filippo e gli Scarpetta non hanno più lavorato insieme”.

Il suo film, quello di Martone proprio su Scarpetta, le riduzioni televisive di De Angelis da Eduardo, come mai, secondo lei questo rinnovato interesse per una tradizione culturale che sembrava essere ormai confinata al suo ambito novecentesco?

“È un momento storico in cui ci sentiamo fragili, il futuro è incerto, abbiamo bisogno di ritrovare dei capisaldi, dei punti fermi a cui attaccarci per ripartire. Napoli ha espresso arte, cultura, bellezza mentre negli ultimi anni sembra vista solo come una città sudamericana, crocevia di violenza e narcotraffico”.

Abbiamo bisogno di una sorta di Ristrutturazione, per citare il titolo dello spettacolo che sta portando in teatro in questo periodo.

“Infatti, la ristrutturazione della casa di cui si parla nello spettacolo è una metafora della necessaria ristrutturazione di cui abbiamo tutti bisogno dopo gli sconvolgimenti della pandemia. Un’opportunità di rinnovamento che dovremmo fare del nostro meglio per non perdere o ignorare”.


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