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“Ferito a morte”, la sfida di Andò

La Capria celebrato al Mercadante. Nel suo romanzo una piaga ancora aperta per le nuove generazioni



“Ferito a morte”, la sfida di Andò

Di Elide Apice


Ferito a morte, il romanzo di Raffaele La Capria diventato ormai un classico della letteratura italiana, arriva al Mercadante di Napoli dal 19 al 30 ottobre, per la regia di Robertò Andò, con Andrea Renzi, Paolo Cresta, Giovanni Ludeno, Gea Martire, tra gli altri. Nel centenario della nascita di La Capria, una messa in scena coraggiosa e necessaria, soprattutto precisa esigenza del regista che ha scelto il testo “proprio perché topos della cultura italiana e in particolare di una certa Napoli e per tutti i motivi per cui può sembrare un azzardo.

È difficile, cioè, per la sfida che implica dal punto di vista teatrale, trovare un linguaggio che corrisponda alla scelta dell’autore di raccontare una sola giornata, quella in cui il protagonista, Massimo, deve lasciare Napoli per andare a Roma e cominciare una nuova vita, ma anche per tutte le diverse imperfezioni temporali che ci sono nel romanzo con il continuo saltare avanti e indietro nel tempo. Ciò che mi ha attratto è proprio la scelta fondamentale di raccontare la vita che sfugge a se stessa, e quindi il fuggevole”. Per quanto riguarda l’adattamento teatrale, Andò racconta: “Mi è sembrato che quel che Emanuele Trevi, molto amico di La Capria, ha già fatto nel tempo per il teatro potesse essere garanzia di un rapporto rispettoso e innovativo con questa materia. Penso, ad esempio, alle esperienze con Ronconi e Popolizio”. Ora ci si chiede quanto di attuale resta nell’opera di La Capria.

“Questo tipo di romanzo che subito è diventato un classico, ha come pochi altri nella letteratura italiana la capacità di non invecchiare, racconta nel tempo a generazioni diverse temi che restano attuali. In primis per lo schema fondamentale del romanzo del ’900: una resa dei conti con la propria origine e con i propri luoghi; il narratore sta andando via da Napoli e fa i conti con tutto ciò che ha significato essere in questa città e con quello che perderà andando via. Dall’altro lato molti di questi temi come lo sperpero del tempo, la chiacchiera di un certo tipo di borghesia, i fallimenti, rimangono ancora oggi visibili. La ferita di cui si parla è ancora oggi una piaga aperta, anche per le nuove generazioni”.

Cambiano i tempi, dunque, ma i temi restano uguali adattandosi alle nuove realtà. Oltre Massimo, quale è il vero protagonista della narrazione?

“Proprio il tempo. È un romanzo in cui c’è coralità e che interroga una pluralità di personaggi. Come se avesse una specie di orchestrazione delle voci, una delle caratteristiche che mi attrae dal punto di vista teatrale. Per dirla, infatti, con Domenico Starnone: è come aprire la radio e trovare stazioni diverse, voci diverse che ti raccontano una storia”.

Quali le difficoltà nell’affrontare questo testo? “Le difficoltà sono tante, è una sfida quotidiana, ma è anche il coraggio trovato in tante cose che danno ispirazione”.


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