L’artista: "Porsi domande oggi è importante perché non si riflette più e non si ha più il tempo di farlo".
Mazzotta per la prima volta in scena a Napoli, prodotto dalla compagnia Libero Teatro
di Gabriella Galbiati
Debutta al Campania Teatro Festival venerdì 2 luglio, alle ore 22.30, nel Giardino Paesaggistico di Porta Miano (ingresso da Porta Miano) a Capodimonte, Max Mazzotta, in “Vite di Ginius”, uno spettacolo della compagnia cosentina Libero Teatro.
Mazzotta e il fondatore e direttore artistico di Libero Teatro, da vent’anni attivo in Calabria con progetti nati in sinergia con l’Università della Calabria, per cui cura laboratori teatrali in collaborazione con il dipartimento di studi umanistici dell’ateneo, ed è allievo di Giorgio Strehler, con cui ha lavorato nelle sue ultime produzioni, ma anche volto noto per aver interpretato il ruolo di Enrico Fiabeschi nel cult cinematografico “Paz!” (2002).
Com’è nata l’idea dello spettacolo?
Nasce dall’esigenza di porci una domanda profonda sull’esistenza. La domanda non verte sul perché viviamo ma sul come viviamo. Porsi domande oggi è importante perché non si riflette più e non si ha più il tempo di farlo. Accettiamo tutto senza fare riflessioni e vivendo in maniera frenetica. Da parte mia, con questo spettacolo vorrei fare una riflessione e non dare delle risposte. Da una domanda possono nascere altre domande. Lo spettacolo vede, tra le varie tematiche affrontate, quella della rincarnazione, un concetto difficile ma che è allo stesso tempo un espediente teatrale per parlare d’altro e di come cambiamo. Pirandello scrisse “Uno, nessuno e centomila” per sottolineare che possiamo essere tante persone diverse. Nel corso della vita si cambia, si è in un modo da bambini, in un altro da giovani e in un altro ancora da anziani. È possibile essere tante persone diverse nella vita perché, anche se siamo sempre noi, possiamo avere consapevolezze differenti.
Sono varie le tematiche dello spettacolo, come la morte, la rincarnazione, il ricordo, il dolore e forse una certa vena pessimistica.
Pessimismo no. Sono solo fatti oggettivi e ognuno assorbe come vuole la riflessione che propongo. La mia è una riflessione sull’amore e sull’incapacità di amare ma non dipende dal pessimismo. Sono fatti che capitano a tutti. Però a volte dimentichiamo di aver fatto torti a qualcuno e non pensiamo a come si possa sentire quella persona quando subisce un torto da parte nostra. Per questo è importante preservare il ricordo del nostro vissuto. Bisogna ricordarsi di essere stati vittime per evitare di compiere una vendetta.
Quali saranno, secondo lei, le reazioni del pubblico e come si sente lei nell’andare in scena dopo questo lungo fermo causato dal Covid?
“Vite di Ginius” è al suo debutto qui al Campania Teatro Festival ed è la prima volta che vado in scena a Napoli. Non ci sarà quindi un pubblico amico o chi mi conosce già. Non so cosa effettivamente aspettarmi ma spero vada bene.
Per natura infatti sono ottimista. Anche da questa tragedia che stiamo vivendo spero scaturisca qualcosa che ci faccia cambiare. Spero nascano cose e urgenze diverse rispetto al teatro, che arrivino buoni contenuti o una nuova drammaturgia. C’è sempre bisogno di una rivoluzione che può partire dall’esterno. Non sarà oggi o domani ma sono certo che accadrà. Magari le persone avranno più voglia di approfondire alcuni aspetti e non di soffermarsi al mero intrattenimento. Anche la commedia deve far riflettere.
Come descriverebbe il suo spettacolo?
Lo spettacolo si divide in due parti. La prima parte è un viaggio di un’anima. Qui c’è un personaggio che, da morto, compie un viaggio ultraterreno e ho dovuto creare un mondo di parole e suoni per descrivere qualcosa di impossibile. È un viaggio visionario e mi sono divertito a crearlo, usando un linguaggio musicale in versi. Qui l’unica alternativa possibile è usare la poesia perché è più diretta rispetto alla prosa. Riesce a superare il tempo e ad accompagnare meglio lo spettatore nella comprensione di qualcosa di cui non ha assolutamente esperienza. Lo spettacolo deve essere costruito in modo tale che il pubblico capisca, dando un significato preciso ad ogni parola. Anche questa è una sfida. Sempre per una migliore comprensione, uso i video in scena che mi aiutano a dare uno stimolo maggiore e a far entrare il pubblico nello spettacolo.
La seconda parte dello spettacolo è un giro di vite, esattamente quattro. Per la vita vissuta di Ginius, che si è rincarnato in varie persone, ho scelto di usare la prosa, con cui il pubblico si sente più a suo agio.
Chi è Ginius?
Ginius siamo tutti noi. Ho descritto mille anni della sua esistenza, che comincia nel 1800 in un paesino della Calabria. Nell’ultima storia, dove è morto, farà il suo viaggio ultraterreno chiudendo il cerchio dello spettacolo. Proprio nella sua ultima e quarta vita, Ginius si immola per salvare la vita di qualcun altro. Pian piano, nelle varie esistenze, si avvicina ad una consapevolezza dei fatti accaduti nelle sue vite precedenti.
Il suo è un omaggio a Dante?
Il mio vuol essere umilmente un omaggio e cerco di non nominarlo mai perché non credo di potermi paragonare a lui. Ma mi sono principalmente ispirato per il linguaggio. Infatti ho usato le sue terzine che sono molto belle e danno il giusto ritmo alla storia. Inoltre Dante fa un viaggio da vivo mentre Ginius lo affronta da morto.
È la prima volta che va in scena a Napoli?
Si, è la prima volta ma devo dire che la scena napoletana per me è quella più viva e che ha dato tante possibilità a tanti artisti che mi hanno influenzato. Sono molto emozionato per il mio debutto a Napoli e lo prendo come un buon auspicio, sperando di ritornare presto andando in scena in un teatro. Napoli è caratterizzata da sempre da un grande fermento teatrale e musicale. Molte icone sono napoletane, come Massimo Troisi con cui sono cresciuto. Per me il suo linguaggio è una grande poesia e lui ha creato una nuova maschera per parlare della napoletanità.
Cos’è per lei il teatro rispetto anche alla vita?
Non siamo fatti solo di carne ma di pensiero. Osservando l’esistenza e la vita, mi pongo in uno stato di osservazione. Il teatro mi mette nella possibilità di osservare, di vedere come ci si comporta, da la possibilità di indagare e di mostrare la vita. Nella vita i fatti non avvengono per combinazione ma perché ci si è comportati in un determinato modo e le cose avvengono nel bene e nel male.
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