"Una confessione - Memorie di un ermafrodito presentate da Michel Foucault"
- proscenioweb
- 18 giu 2021
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Herculine Barbin si toglie la vita a causa della società che la sottopone a una “ridicola inquisizione”. La regista Maria Grazia Solano: “Ho cercato l’ambientazione del 1870 perché oggi la scienza e la chirurgia possono intervenire. Ciò su cui non si può intervenire è sull’animo, sul cuore”
di Andrea Fiorillo

Continua il Campania Teatro Festival, la rassegna multidisciplinare diretta per il quinto anno consecutivo da Ruggero Cappuccio e organizzata dalla Fondazione Campania dei Festival, presieduta da Alessandro Barbano. Per la sezione Osservatorio debutta venerdì 18 giugno nel Giardino Paesaggistico di Porta Miano, alle 22.30, “Una confessione – Memorie di un ermafrodito presentate da Michel Foucault”, diretto da Maria Grazia Solano, con Olivia Manescalchi, Alessandro Quattro e Marta Cortellazzo Wiel.
Il lavoro si ispira alle testimonianze di Herculine Barbin, un documento di straordinario interesse pubblicato per la prima volta in una rivista di Medicina nel 1874 e scoperto da Michel Foucault, che si propone di ricostruire la storia della sessualità di un ermafrodito. La vicenda di Herculine verrà raccontata da dentro, grazie a una riscrittura molto fedele del suo diario. Herculine diventa consapevole dell’eccezionalità della propria esperienza e rifiuta di farsi complice di una cultura in cui non c’è posto per l’eccezione.
Maria Grazia Solano, un ritrovamento del 1874 e la pubblicazione di un diario da parte di Michel Foucault che racconta le memorie private di Herculine Barbin, ermafrodito che si toglie la vita a causa della violenza di una società che la sottopone, come lei afferma, ad una “ridicola inquisizione”. Da dove nasce questa esigenza di messa in scena?
Sono attratta in modo particolare dalle storie vere. Per me non c’è niente di più fantascientifico di una storia vera, soprattutto quando riguarda l’essere umano. Racconto una storia d’amore e di sofferenza, e di un’impossibilità causata dal tempo storico, che è il 1874, in cui non si poteva intervenire in casi come quello di Herculine Barbin, ermafrodito. Le istanze fisiche di Herculine non si potevano sottoporre a un’operazione che seguisse l’andamento della sua anima. Si è tenuto conto soltanto della società circostante. E dove c’è una spaccatura, dove l’anima non è presa in visione, considerata, amata, ma addirittura viene avvilita dalla società, è lì che va la mia concentrazione. Non solo, però, perché si tratta di un caso umano.
Una società che ancora oggi pare catalogare e distruggere. Quanto il teatro può sanare queste ferite ancora troppo aperte?
Il teatro pone delle domande e passa attraverso la distribuzione delle emozioni. Che cosa avviene quando uno spettatore assiste all’espressione dell’emozione dell’attore? In qualche modo viene toccato. Sta allo spettatore fare un ragionamento su questo, essere scardinato per venire toccato da un’emozione e quindi cambiare l’idea che ha avuto rispetto a soggetti come Herculine Barbin, la cui condizione non è una scelta, ma è naturale. La natura gli ha fornito un corpo che non corrisponde alla sua anima e viceversa. Non si sta parlando di genere, e anche l’omosessualità non è mai una scelta. Non si sceglie di essere omosessuale, ma lo si è, si viene attratti da aspetti che riempiono. Di problema ce n’è soltanto uno, che il teatro è un luogo non soltanto di ragionamento, ma anche di finzione. Alcuni temi non vengono presi da mettere nella propria realtà, l’unica cosa che si può fare è tentare di andare a prendere la “pancia” delle persone per porre un po’ l’attenzione. In fin dei conti, quando si chiude il sipario, sappiamo di aver assistito a una storia d’amore come tante, perché parliamo comunque di Herculine Barbin, che ha amato ed è stata ricambiata. Non stiamo parlando di un soggetto che è già a monte sfortunato di suo, non è che vive una sofferenza e si chiude lontano dal mondo, ma la esprime. È soltanto il corpo che impedisce un’eterna felicità o comunque un percorso come tutti gli altri: nasce come femmina, perché lo dichiarano femmina, ma con il tempo alcuni dolori fisici arrivano a turbarlo, proprio per la propria conformazione fisica genitale. Ama le donne, e quindi è nel campo degli uomini, anche se non è né uomo né donna. Che sia donna è stato solo deciso. Ho cercato l’ambientazione del 1870 perché oggi la scienza e la chirurgia possono intervenire, ciò su cui non si può intervenire è sull’animo, sul cuore: ciò è molto struggente in questa storia. La sua impossibilità è reale. L’anima deve andare a scegliere ciò che desidera. Questo deve venire fuori. Per tornare alla domanda, oggi il teatro si pone delle questioni che riguardano tutti: io porto la mia istanza personale, parlo di una storia di amore, di un essere speciale, e in quanto tale va trattato con sensibilità, perché, appunto, non si sceglie chi amare: una donna può amare un anziano, un ciccione, un magro, un alcolizzato, può amare un Adone, una statua, una donna. L’istinto è istinto, punto.
Cosa l’ha mossa nella direzione di questo testo e quanto la pubblicazione di Foucault è la linea con la messa in scena?
La domanda che mi muove è la seguente: la società ci vuole felici, liberi o in prigione? A Foucault do il mio senso di gratitudine, perché ha trovato nelle sue ricerche questo testo fra gli archivi di Medicina legale in Francia, a Parigi, mentre stava ponendo la sua attenzione su come fosse la sessualità nell’ermafroditismo in un’epoca circoscritta, di cui dobbiamo tenere conto. Ricordo che la parola “ermafrodito” nasce dall’incrocio fra Hermes e Afrodite, e nell’antichità gli ermafroditi erano considerate persone meravigliose. Siamo noi che abbiamo bisogno di distruggere i miti, che erano carichi di bellezza. Abbiamo bisogno di buttarli giù per sentirci un po’ più forti. Come quando vengo giù in Sicilia: c’è il tempio di Apollo, a Siracusa, e poi c’è una tanta immondizia. Si fa fatica a reggere questo. Invece di star a contemplare la bellezza, la distruggiamo. Foucault lo ringrazio perché ha cucito queste parti di diario in cui la scrittura di Herculine in principio era al femminile, poi alcune pagine diventano al maschile. Foucault ha restituito loro un filo narrativo. Mi ha attratto la storia vera. Lei in quanto Lei, una donna che scrive benissimo, che ha fatto arte e ha lasciato all’arte. La sua sofferenza l’ha buttata nella scrittura. Il testo è magnifico: non ho inventato nulla, in quello c’è il suo vero pensiero. Mi ha attratto anche l’ermafroditismo. Fa parte di ognuno di noi, penso che possa far parte anche di me. L’intensità nel suo modo di guardare il mondo mi ha incuriosito. Il suo modo di amare, di essere amato (o di non essere amata). La sua scrittura, mi ha catturata. Se ci pensi si tratta di un tema non troppo battuto, perché temi come questo tolgono le persone dalla loro comfort zone. Non è presunzione se dico che questa storia deve girare ed entrare nella mente delle persone.
Anche oggi forse Herculine si toglierebbe la vita, così come accade ancora a troppi “diversi”. Se potesse, cosa le direbbe per evitare che succeda di nuovo?
Il problema non è lei né le persone che si suicidano, ma la società che non le accoglie. Purtroppo ci sono soggetti che soccombono, che si fanno risucchiare dal parere altrui, e altri che fanno della propria diversità, invece, un loro punto di forza. Queste persone non devono essere lasciate da sole. L’unico modo per far sì che non si arrivi all’evento tragico è evitare la solitudine che di solito si crea intorno.
A Herculine Barbin, nel momento in cui è stato deciso che era un uomo, gli sono stati semplicemente messi addosso un cappotto e una cravatta per farlo diventare qualcos’altro. Quando ha vissuto la sua solitudine viaggiando, andando in altri luoghi, si sentiva anche “sbagliata”, e quando una persona si sente sola e sbagliata pensa di risolvere la questione in un unico modo: il suicidio. Ora che siamo nel 2021 dev’esserci un piano di ascolto molto più grande per queste persone. Bisogna fare lo sforzo di non lasciarle da sole. È la società che ti abbandona. Il genitore, l’amico, che ti abbandonano. Le figure genitoriali rappresentano la prima accettazione verso la società: se non vieni accettato lì non vieni accettato da nessun’altra parte. Un figlio non appartiene al genitore, è un essere a parte, ed è giusto che sia diverso dal suo genitore, non si può imporre la propria identità.
Musicisti in scena, ancora di salvezza?
La musica come cifra stilistica consegna la corda emotiva più profonda. Sono molto legata all’aspetto musicale in generale. Molte mie cose nascono anche con la musica. La nostra esistenza è fatta di musica, che ci fa sognare o concentrare. Lo strumento della chitarra elettrica porta su un piano di realtà odierna, è la voce che va sull’oggi. L’impianto, però, quello che si ascolterà, si compone di pezzi di Antonio Vivaldi, di Henry Purcell, di Arvo Pärt. Una memoria storica e in generale una musica classica. Porto il mio gusto fondamentalmente ri-arrangiato con delle sfumature moderne, con l’utilizzo dell’archetto, del violoncello. Tra l’antico e il moderno, la musica fa da tappeto sonoro e ha una funziona emotiva che aiuta in alcuni momenti a far lievitare l’anima.
A tal proposito, colgo l’occasione per ringraziare Paolo Cipriano, musicista, che ha realizzato le sonorizzazioni eseguite dal vivo, e tutto il resto della squadra: gli interpreti Olivia Manescalchi, Alessandro Quattro e Marta Cortellazzo Wiel (anche per i riferimenti affettivi legati a Herculine), Stefania Di Nardo per i costumi, Annasofia Solano per i video, Erica Müller assistente alla regia e Matteo Crespi per le luci. Senza di loro, quello di cui stiamo parlando non ci sarebbe mai stato.
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