ALLA RISCOPERTA DI “VINCENZINO”. Figlio di Eduardo Scarpetta e fratellastro dei De Filippo. Sulle orme paterne per mantenere viva la tradizione di famiglia
di Antonio Tedesco
La storia di Vincenzo Scarpetta è quella di molti figli d’arte che stentano ad affrancarsi dal peso di una figura paterna ingombrante. Intralciati, spesso, da impliciti paragoni, preoccupati di non deludere le aspettative che gravano in maniera quasi automatica sulle loro spalle, devono adattare la loro vita ad un modello già predisposto, incamminarsi lungo una strada la cui direzione è già tracciata.
E il più delle volte soffocare le proprie inclinazioni più spontanee, la propria creatività, la vera personalità. Per liberare, almeno in parte, da questo peso la vita e la carriera di “Vincenzino”, Maria Beatrice Cozzi Scarpetta, erede diretta della famiglia, si dedica da anni con incrollabile e ammirevole dedizione al recupero e alla valorizzazione di questa importante figura della tradizione teatrale napoletana.
Figlio di Eduardo Scarpetta e fratellastro dei De Filippo, Vincenzo è rimasto come incastrato tra queste due sponde, rischiando di lasciare in ombra una carriera artistica che è stata invece ricca, brillante e piena di soddisfazioni.
Cozzi Scarpetta, ha avviato un meticoloso lavoro di studio e di ricerca, scavando negli archivi privati e in quelli pubblici, nelle emeroteche, acquisendo materiali, confrontando documenti, trascrivendo copioni, riportando così alla luce un piccolo-grande tesoro artistico che rischiava di rimanere disperso e dissolversi per sempre. Vincenzo Scarpetta fu autore prolifico, dotato di innumerevoli competenze sceniche, comprese quelle musicali.
Se Eduardo De Filippo pose il suo teatro come punto di svolta rispetto alla tradizione scarpettiana, Vincenzo, destinatario diretto dell’eredità paterna, si sentì invece obbligato a seguirla, come autore, attore, regista e capocomico. Lo fece con costanza e abnegazione, ma quasi in punta di piedi, e forse non tanto per paura di un confronto, quanto per una forma di rispetto reverenziale che sempre conservò nei confronti del padre, come uomo e come artista. Tentò di aggiornare la figura di Felice Sciosciammocca affrancandola da uno stato di pura macchietta e continuò fino a età avanzata a scrivere copioni e mantenere viva la storia e la tradizione di famiglia. Il lavoro di Maria Beatrice Cozzi Scarpetta, sulla carriera artistica di Vincenzo si è concretizzato fino ad oggi in tre volumi, pubblicati a partire dal 2015, dove sono raccolti in ordine cronologico una scelta dei testi più significativi della copiosa produzione dell’autore, oltre a testimonianze, documenti, foto rimasti fino ad oggi inediti.
In questo terzo volume, pubblicato da Liguori, con la prefazione di Paola Quarenghi, sono raccolte opere scritte e messe in scena nel decennio 1920-1930, documentando in Appendice anche l’intensa attività svolta da Vincenzo nel campo della Rivista, forse la sua più sentita vocazione artistica. Ma il personaggio è poliedrico e riserva continue sorprese. Oltre a commedie, testi musicali, sketch per riviste è stato anche prolifico autore in campo cinematografico, firmando sceneggiature e partecipando alla realizzazione di film.
Come recenti studi hanno appurato possiamo considerarlo tra i pionieri del Cinema napoletano delle origini. Collaborò, tra gli altri (a cavallo degli anni Dieci del ‘900) con la Manifattura Cinematografica dei Fratelli Troncone e con lui esordì la famosa diva del muto Francesca Bertini in un piccolo film satirico intitolato Marito distratto moglie manesca.
Attività, quest’ultima, documentata in un altro volume, sempre edito da Liguori, che Cozzi Scarpetta ha curato con lo storico del cinema Pasquale Iaccio, nel 2016, Pionieri del cinema napoletano. Le sceneggiature di Vincenzo e i film perduti di Eduardo Scarpetta.
Tutto questo, in un momento in cui pare essersi risvegliato l’interesse per una tradizione culturale e teatrale che, se non rimossa, era comunque relegata al suo specifico contesto storico. Interesse animato, forse, da un bisogno tutto contemporaneo di ritrovare le proprie radici. Perché, come succede in ‘O tuono ‘e marzo, nei momenti di buio si possono avere sorprese impreviste.
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