Patroni Griffi a cura di Mariano D'Amora
di Antonio Tedesco
Se pur si inserisce nel solco del teatro borghese, la drammaturgia di Giuseppe Patroni Griffi si distingue da questo per la sua decisa vena di trasgressività. E’ come se quell’ordine lo volesse minare dall’interno. Per dare sfogo ad una sorta di ribellione che trova origine nella sua stessa natura di uomo che di quell’ordine si sente partecipe e distante ad un tempo. Tutto questo emerge sia dal linguaggio che caratterizza i suoi testi che dagli argomenti, non usuali per la drammaturgia del periodo, che in essi vengono trattati.
Forse è proprio questa sua posizione “laterale”, questo essere dentro e fuori contemporaneamente che ha rallentato in questi anni il pieno riconoscimento del valore della sua opera drammaturgica. Eppure si tratta in molti casi di testi che hanno ottenuto ampi successi e importanti riscontri al momento della rappresentazione (In memoria di una signora amica e Metti una sera a cena, per citarne solo due), ma che hanno tardato ad essere formalizzati e storicizzati a livello critico, come invece meritano. Ora, un importante volume, Giuseppe Patroni Griffi – TEATRO (pgg. 435 – Euro 35,00) pubblicato da Guida Editori, per la cura di Mariano D’Amora e con il contributo della Fondazione Eduardo De Filippo, viene a colmare questa lacuna, recuperando e raccogliendo un patrimonio drammaturgico che appartiene a pieno titolo alla storia recente del nostro teatro e ne rappresenta di sicuro una parte non secondaria. Perfettamente in linea con gli scopi della Fondazione, voluta da Luca De Filippo per “promuovere ogni iniziativa volta a favorire la salvaguardia e il recupero del teatro di tradizione napoletana e lo sviluppo del teatro contemporaneo”, e promosso in particolare dal suo direttore Francesco Somma, che con sensibilità e competenza ha accolto e favorito il lavoro di Mariano D'Amora, questo volume non solo rimedia ad una grave mancanza, ma lo fa in maniera completa e articolata affrontando e confrontando i vari aspetti della drammaturgia dell'autore a oltre dieci anni dalla sua scomparsa.
L'accostamento, infatti, in un solo volume dei testi in italiano e di quelli in napoletano consente un raffronto continuo che non è solo linguistico, ma che attraverso la lingua stessa utilizzata, e nella sue molteplici sfumature, assume uno spessore esistenziale.
Giuseppe Patroni Griffi (per gli amici Peppino) aveva lasciato Napoli in giovane età, come molti degli artisti e intellettuali della sua generazione originari di questa città. Ma nonostante Roma sembrasse offrire aperture e possibilità di realizzazione diverse (la RAI prima, la lunga carriera di regista teatrale dopo) Napoli gli era rimasta dentro. Ed emerge continuamente, quasi un sottotesto che pervade anche i lavori in lingua. Nella sua dettagliata ed esauriente introduzione, D'Amora mette costantemente in rilievo questa duplice dimensione dell'autore. Qualcosa che sembra corrispondere a due diverse e complementari manifestazioni della sua personalità. Il borghese intellettuale e trasgressivo per i testi in italiano, e l'aspra, carnale, sanguigna visceralità che trova in un napoletano non edulcorato, spigoloso e sofferto, la sua più diretta e naturale espressione. Nel suo saggio introduttivo D'Amora analizza i testi, li contestualizza da un punto di vista cronologico, ne evidenzia le singolarità linguistiche, le peculiarità dei personaggi. I quali manifestano sempre un elemento di verità che trova origine, o quanto meno una stretta connessione, nelle condizioni ambientali e sociali in cui agiscono. La drammaturgia di Patroni Griffi fa propria la condizione di crisi individuale ed esistenziale che travolge uomini e donne in un momento storico, gli anni che seguirono il secondo dopoguerra, segnati da passaggi cruciali. Cogliendo nei suoi personaggi, nella loro irrequietezza, nel disagio che manifestano nei confronti del contesto in cui vivono, la crisi di valori che ha caratterizzato quel lungo periodo e il conseguente smarrimento che ne è seguito.
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