Il regista Manuele Morgese: “Portare in scena questo titolo è per me necessità di comunicare al mondo il messaggio dell’autore in questo tempo di caos e alienazione dell’Io”
di Andrea Fiorillo
Continua il Campania Teatro Festival e debutta mercoledì 7 luglio, in prima assoluta, “Siddhartha”, diretto e interpretato da Manuele Morgese, con Mariano Rigillo, Riccardo Feola e Sara Adami. Per la prima volta in Italia, il romanzo “Siddhartha” di Hermann Hesse, diventa spettacolo teatrale, grazie all’idea progettuale dello stesso Morgese, direttore della compagnia Teatrozeta. Mariano Rigillo, maestro e interprete d’eccezione, è il “deus ex machina” che guida le fila della rappresentazione per assurgere a protagonista nel ruolo del Barcaiolo, simbolo della spiritualità universale narrata da Hesse.
Lo spettacolo mette in scena la storia di un uomo, emblematica storia di tanti uomini, la storia dell’autore – narratore, storia dell’uomo, di ieri e di oggi, alle prese con i mille dubbi che la vita rivela; storia degli uomini – bambini di cui Siddhartha vede e deride gli affanni, gli amori, le passioni, i dubbi, il vivere quotidiano, l’attaccamento al denaro.
Manuele Morgese, da dove nasce l’idea di portare in scena, per la prima volta in Italia, questo romanzo di Herman Hesse?
Nel 2019 quando ho letto per la prima volta il libro conosciuto solo per la sua fama.
Premetto che ho sempre snobbato i romanzi “famosi”, quelli che leggono tutti, ma subito dopo l’immersione che mi ha letteralmente folgorato, ho iniziato a immaginare una trasposizione teatrale. Infatti, il romanzo di Hesse alterna la narrazione ai dialoghi. Il mio spettacolo fa lo stesso. Sono poi andato a controllare su Internet, curiosando se qualcuno aveva avuto questa idea. Davo per scontato che ci fosse già una versione teatrale, e invece, ho scoperto che nessuno aveva avuto “il coraggio” di mettere in scena un testo così complesso.
Il mio appetito teatrale è così aumentato e si è trasformato nella nuova produzione del Teatrozeta, e portare in palcoscenico un tema così potente, dopo il buio assoluto portato dal Covid nella vita di tutti e in particolare in quella di noi teatranti, assume un valore ancora più forte.
Il romanzo presenta un registro molto originale che unisce lirica ed epica, ma anche narrazione e meditazione, elevazione e sensualità. Così anche la messinscena utilizza linguaggi diversi, che vanno dalla danza alla musica fino alla visual art. Perché questa scelta e come il testo si è prestato a questi linguaggi così contemporanei?
La risposta a questa domanda è piuttosto semplice, nel senso che quando si affronta un testo di caratura universale il cui messaggio non ha tempo, non ha spazio e non ha luogo allora è molto più facile lasciarsi andare alla creazione. È quello che succede con Shakespeare: un regista deve creare, disegnare e poi colorare di vita la vita dei personaggi.
L’autore stesso, nell’elaborazione del romanzo, ha fuso il racconto con i dialoghi quindi, già di per sé, è per tanti aspetti il testo di Hesse a porsi come testo “pronto” per il teatro.
Il lavoro di regia l’ho subito immaginato attraverso una narrazione con Videoproiezioni e Animazioni fusi alla recitazione degli attori. Lo spettacolo quindi alterna la bidimensionalità dei disegni animati, opera di Cosimo Brunetti, con la tridimensionalità degli attori dal vivo. Lo spettatore vede il disegno e successivamente dietro compare l’attore. A questo si aggiunge l’utilizzo della musica dal vivo con le percussioni hand pan di Marco Bandera e le coreografie a cura di Francesca di Boscio. Spettacolo multidisciplinare dunque, come si usa dire.
Siddharta è da sempre considerato un compendio dell'inquietudine adolescenziale, dell'ansia di ricerca di se stessi, dell'orgoglio dell'individuo davanti al mondo e alla storia. Una figura fondamentale in questo momento così instabile in cui il teatro può diventare uno strumento salvifico. È così?
È assolutamente così. Portare in scena Siddhartha è per me una necessità, una ragione di vita, un desiderio di comunicare agli spettatori, al mondo, il grande messaggio dell’autore. In un tempo come questo, fatto di caos e di rumore (lo spettacolo inizia con i “ rumori “ della tecnologia nella quale siamo immersi) di ostentazione delle apparenze e di alienazione dell’Io, Siddhartha alla costante ricerca del proprio IO, diventa un inno alla libertà! Memorabile la sua battuta sul finale quando dice: “Cercare vuol dire avere uno scopo, ma trovare vuol dire essere liberi!”. Ecco quindi, trovare se stessi, trovare quella dimensione umana che noi occidentali abbiamo perso. Motivo per cui non siamo liberi.
In scena oltre te, che curi anche la regia, altri tre attori, tra cui Mariano Rigillo.
In scena con me due ottimi attori come Riccardo Feola, napoletano e figlio come me della scuola del teatro Bellini e Sara Adami.
La ciliegina sulla torta è Mariano Rigillo. La sua presenza ha impreziosito il lavoro, lo ha arricchito e ha dato una svolta anche alla mia regia. Non sarà un narratore classico, ma entra ed esce nei personaggi del testo come solo un grande attore può fare. Avevo una grande ammirazione per Rigillo dai tempi dell’Accademia. Ammirazione confermata e cresciuta nei giorni di prova; lavorarci insieme è stato uno dei regali più belli che mi ha fatto l’universo. Mi preme infine sottolineare come la compagnia Teatrozeta dell’Aquila che dirigo da venti anni ha mostrato con questa produzione la forza della passione ed il valore del teatro. In tempi bui dove i grandi teatri non hanno dato alcun segno di ripresa, facendo il minimo necessario, il risultato della mia compagnia è sotto gli occhi di tutti: un cast di tredici persone ha reso possibile la realizzazione di questo Siddhartha. Il cast artistico già citato si è valso della forza tecnica di Alessandro Innaro per le Videoproiezioni create da Brunetti, Pasquale Papa al disegno luci, Isaura Bruni per i costumi, Roberto Foresta per la direzione di palcoscenico e Riccardo Spinozzi per l’organizzazione generale, Domenico Viglione per la fonica.
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