di Nunzia Gionfriddo – Edizioni Homo Scrivens – 150 pp. € 15,00
di Antonio Tedesco
Una vita per il teatro. Definizione senz’altro adeguata. Ma anche una Vita tout court con la V maiuscola quella di Anna Maria Ackermann. Dove il pubblico e il privato, l’esperienza del quotidiano e la Storia (anche questa, in qualche caso tristemente, con la maiuscola) si intrecciano strettamente. E, pur senza mai confondersi, camminano di pari passo. Non è un romanzo in senso classico, né una biografia romanzata questa di Nunzia Gionfriddo. È piuttosto l’accorato e partecipe racconto di un’esperienza esistenziale densa e coinvolgente. Che l’autrice del testo raccoglie e ci restituisce con altrettanta intensità, ma anche con una sorta di rispettoso pudore. Nunzia Gionfriddo non oscura la sua presenza, ma la pone in forma interlocutoria. Una scelta stilistica che arricchisce questo testo di una sorta di calda, amichevole intimità, che giunge anche al lettore. Ulteriormente favorita dalla precisa descrizione dei luoghi e dei momenti nei quali il racconto-dialogo si articola. Scrivere di donne è dunque, prima di tutto, un libro scritto da donne. Nel quale di sono incontrate, come in una magica fusione, l’arte del racconto e quella dell’ascolto. La capacità di “dire” e quella di restituire per iscritto l’emozione e la forza che quelle parole esprimono. Parole che scaturiscono da un flusso di esperienze e di ricordi. Che, nella narrazione di Anna Maria Ackermann, si snodano intorno a due baricentri principali. L’amatissima nonna Mustiola, donna che al, per noi improbabile, nome unisce il portato di un’antica saggezza popolare e contadina, fatta di saldi principi, solidità umana, dedizione e spirito di sacrificio. Elementi che grande importanza hanno rivestito nella formazione e nello sviluppo della personalità di Anna Maria. E poi la madre (“mammina”), Laura, donna battagliera e determinata, punto di riferimento costante e sicuro per la famiglia. Una sorta di impavida guida che anche nei momenti più difficili (compresa la drammatica esperienza del lager nazista) non viene meno al suo ruolo. Ma capace, allo stesso tempo, di stimolare curiosità e interessi culturali nella giovane Anna Maria. Tutti questi influssi e questi stimoli assorbiti e metabolizzati come solido retroterra sono infine confluiti nel grande e accogliente (ma a volte anche scomodo e impegnativo) grembo del teatro. Nel quale l’attrice Anna Maria Ackermann è entrata, per così dire, dalla parta principale. Coinvolgente e pieno di aneddoti e curiosità, il racconto dei suoi incontri artistici. Con Eduardo, prima, con il quale ha esordito, e con tanti altri maestri in seguito, tra cui Peppino, Roberto De Simone, Gennaro Magliulo, Pupella Maggio e tutti i maggiori esponenti del teatro di quegli anni, napoletano e non solo. Poi è venuta la radio, la televisione, il cinema, infine l’insegnamento della recitazione, nel quale la Ackermann ha messo a disposizione dei suoi giovani allievi la grande esperienza artistica acquisita, ma anche la sua raffinata sensibilità e umanità. In conclusione si può dire che questo è un libro fatto da due donne. Una è la voce narrante, l’altra è quella che fissa tale narrazione nella scrittura, intesa nel senso più alto di forma letteraria. E c’è una casa nella campagna toscana, luogo di origine della famiglia materna, dove, per la gran parte, questi incontri si svolgono e dove l’alchimia tra queste due donne, in rappresentanza di due diverse forme narrative, avviene. Attraverso l’evocazione di altre figure femminili, così diverse e in apparenza lontane, eppure, così presenti e così importanti.
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