Puccini rivisitato in un’ambientazione meno classica
di Paola de Ciuceis
La storia è nota. Mimì, malata di tisi, vive di stenti, in una soffitta parigina, al pari dei suoi vicini bohémien: il poe-ta Rodolfo con il quale intreccia una sofferta relazione amorosa, il pittore Marcello, anche lui in litigioso amore con Musetta, il musicista Schaunrad e il filosofo Colline, tutti alle prese con le difficoltà quotidiane del loro essere artisti, a cominciare dalle pressioni del padrone di casa Benoît, che reclama l’affitto.
Tra le opere più note e più amate della lirica, con la sua drammatica vicenda di indigenza, malattia e morte La Bohème di Giacomo Puccini – melodramma in quattro atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo di Henri Murger, Scènes de la vie de bohème rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino nel 1896 – ritorna al San Carlo a gennaio 2019 (dal 16 al 22), per sei repliche affidate alla regia di Francesco Saponaro con scene e costumi di Lino Fiorito, luci di Pasquale Mari, e Alessandro Palumbo e Gea Garatti, rispettivamente alla direzione dell’orchestra e del coro del lirico partenopeo.
Il ritorno per questa produzione del San Carlo è tanto gradito quanto atteso. Saponaro porta in scena il titolo per la terza volta, dopo il primo adattamento sperimentale itinerante realizzato, nel 2012, come workshop di formazione scenica nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, negli spazi dei laboratori artistici del teatro, nati a Vigliena, dalla riconversione degli stabilimenti ex Cirio nella zona industriale Napoli Est. L’allestimento di oggi, però, naturalmente è completamente diverso “Ogni volta che mi confronto con lo spartito classico dell’opera ritrovo la suggestione emotiva della genialità di Puccini, capace di raccontare una storia così universale da essere tuttora attuale per la condizione di precarietà, indigenza, e talvolta malattia, che la contemporaneità riserva ai giovani, mettendone a dura prova anche i sentimenti più grandi e forti” spiega il regista.
“Ed è sempre un piacere ritrovare e rinnovare il mio rapporto con questo compositore, che spero non mi abbandoni mai perché, a ogni rilettura, non è mai noioso”. Saponaro è reduce dalla regia dello spettacolo inaugurale del Maggio Musicale Fiorentino, dove ha firmato un dittico che accosta un testo nuovo, Ehi Gio di Vittorio Montalti, dedicato a Rossini, a Le Villi, una delle prime composizioni di Puccini; un lavoro intrigante, come la vicenda della Bohème, opera ottocentesca ma con una forte inclinazione al ’900, che tra flashback e aperture al cinema è capace di parlare ancora al pubblico, di proiettarlo verso il futuro.
Di qui, continua Saponaro, “la scelta di un’ambientazio ne meno filologica e più rarefatta, che rimanda a una Parigi senza tempo paragonabile, magari, anche a Napoli, perché la soffitta di Rodolfo può affacciarsi sui tetti di qualsiasi quartiere di qualsiasi città.
Quel che più mi interessa è l’aspetto sociologico, una dimensione popolare anche un po’ chiassosa come quella dei Quartieri Spagnoli che, tra un bicchiere di vino e l’altro, annebbia e alleggerisce per far dimenticare i dolori”.
Una Bohème, dunque, più partenopea e meno parigina, aggiunge Saponaro, “anche per rendere omaggio alla cultura napoletana, sia per la benevolenza di Puccini verso la parodia che Scarpetta fece della sua opera, sia per la mia voglia di lavorare sulla drammaturgia napoletana, dalla più antica sino a Patroni Griffi”.
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