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Ridire, la storia di Luca Persico (frontman dei 99 Posse)

arriva a gennaio al Teatro Nuovo di Napoli



di Francesco Gaudiosi

Cosa accade quando un musicista decide di raccontarsi a teatro, prendendo alcuni dei suoi testi e cercando di conferire loro un’esecuzione narrativa altra rispetto alla partitura musicale? Accade che la melodia diventa poesia, storia, ricerca. E, talvolta, anche scoperta di qualcosa di cui prima non si era a conoscenza. È quanto accade nello spettacolo Ridire, di Luca Persico con la regia di Pino Carbone, che sarà in scena al Teatro Nuovo di Napoli l’8 e il 9 gennaio 2022. Dopo l’apprezzato debutto quest’estate, in occasione del Campania Teatro Festival, Ridire torna in scena con il suo stesso autore, Luca Persico, il frontman dei 99 Posse e con il nome artistico di ‘O Zulù, un gruppo musicale che negli ultimi trent’anni ha fatto la storia del fusion tra hip hop e il reggae, in una sonorità partenopea che si è fatta riconoscere sull’intero panorama italiano.

Ecco che quindi in Ridire si assiste alla storia di questi trent’anni in una chiave inedita: quella della commistione tra parola, teatro e musica; oltretutto in un’atmosfera teatrale che intende conferire una dimensione narrativa diversa, potrebbe dirsi “alternativa”, agli stessi testi dei 99 Posse.

Luca Persico, da cosa nasce lo spettacolo Ridire?

Nasce dall’esigenza di raccontarmi e di raccontare una storia borderline, in occasione dei trent’anni di carriera. Durante il lockdown, mi sono trovato a rileggere i miei testi senza beat, come se fossero delle poesie e senza il loro incastro musicale con cassa, rullante e basso. Ho notato che avevano una forza differente, un tipo di impatto diverso su chi le ascolta.

Da qui la prima proposta a Edo Notarloberti.

Lui è il mio violinista di fiducia. Non appena ha cominciato a suonare dei violini sulla base delle mie parole ha avvertito insieme a me una magia. Qualcosa di diverso che stava accadendo. Avevo come obiettivo principale il raccontare una storia attraverso la ricerca del linguaggio. Il secondo obiettivo, che è arrivato successivamente, è stato probabilmente quello della ricerca di un linguaggio nuovo, completamente diverso, rispetto a quello a cui ero abituato.

E in questo secondo obiettivo c’entra Pino Carbone.

A settembre dello scorso anno, abbiamo fatto una versione recital (voce e violino) al Chiostro di San Domenico Maggiore e in quell’occasione Pino Carbone individuò le potenzialità per spostare questo spettacolo verso uno spazio scenico teatrale. Anche se mi rendevo conto che la ricerca di questo linguaggio non era ancora completa, si trattava di un ibrido a metà strada tra il mondo del teatro e quello della musica.

Da qui i tre mondi che porta in scena Ridire.

La musica, il teatro e la parola sono i tre mondi che portiamo in scena, alla ricerca di una collocazione e provando a raccontare ognuno con i suoi strumenti questi trent’anni di carriera. In scena non sarò solo, io rappresenterò la parola, Edo Notarloberti la musica e Francesca De Nicolais il teatro. Nell’interazione tra questi tre elementi si cerca quindi un nuovo assetto dei miei testi, un metateatro in cui raccontiamo proprio quello che è avvenuto durante la costruzione dello spettacolo.

Uno spettacolo molto fluido nel suo stile narrativo, quindi?

Si, io sarò sempre presente in scena e di volta in volta andrò ad interagire o con entrambi gli altri due mondi o anche con solo uno, in una prospettiva ravvicinata della parola rispettivamente con la musica o con il teatro. Sono tre atti, perché tre sono i decenni della mia carriera e tre i periodi artistici che ho vissuto. La storia dei 99 Posse inizia nel 1991 e dieci anni dopo si conclude con il concerto a Genova del 2001. Il decennio successivo arriva fino al 2012, con la nascita di mio figlio Raoul, altro momento centrale della mia vita. E poi c’è la carriera attuale, la mia storia che tanti conoscono e che ho sentito il bisogno di portare in scena con i miei testi.

Un momento storico, con una dimensione interna, e uno decisamente intimo, con una proiezione artistica interna.

Esattamente, i tre momenti si aprono tutti con un prologo, una narrazione della mia storia e una chiusura. Quello che porto a teatro non è la storia delle mie battaglie o dei miei trent’anni di lotte: è piuttosto il racconto del lato B, in cui mi piaceva raccontare la persona più che il personaggio. Questo testo per me è una sorta di “seduta psichiatrica”, in cui ho scelto sia i testi più emblematici che quelli meno conosciuti di questi tre decenni e li ho trasformati in una versione recitata e con l’accompagnamento di un violino. Cerchiamo anche di raccontare la storia di quest’inquietudine di fondo che ho scoperto nei miei testi, per andare lentamente ad aumentare fino a diventare la mia cifra stilistica.

Dopo Napoli, sono previsti altri allestimenti per Ridire?

Siamo di recente tornati dal Codex Festival di Noto e ci accingiamo a rappresentarlo il 15 gennaio a Casalecchio, nel Teatro Comunale Laura Betti. Inoltre, siamo al lavoro per Roma e Milano, dove c’è forte interesse a portare questo spettacolo e in cui credo che entro la primavera riusciremo a essere presenti. Stiamo infine valutando l’ipotesi di proporlo per un pubblico non seduto, perché Ridire si colloca in un territorio strano: il suo luogo è certamente il teatro, ma stiamo cercando di immaginare modalità di partecipazione del pubblico diverse, che strizzano l’occhio anche a un concerto musicale.


©RIRPODUZIONE RISERVATA

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