Massimo Popolizio rilegge il romanzo di Pasolini. In scena 19 giovani interpreti
di Stefano Prestisimone
Il Riccetto, Agnolo, il Begalone, Alvaro e, ancora, il Caciotta, Spudorato, Amerigo. Arrivano dall’aspra povertà delle borgate romane, tra lampi di furia e altri di dolcezza, e trascorrono le loro giornate alla ricerca delle poche lire in tasca per sbarcare il lunario. Sono gli straordinari Ragazzi di vita, antieroi di un libro datato 1955, che rivelò il talento di Pier Paolo Pasolini; un affresco emozionante e potentissimo che Massimo Popolizio ha deciso di portare in scena, creazione corale struggente, vincitrice di un Ubu, un premio della Critica e un doppio riconoscimento alle Maschere del Teatro. Diciannove gli attori sul palcoscenico: 18 ragazzi di vita e un narratore, Lino Guanciale, diretti da Popolizio.La drammaturgia è di Emanuele Trevi. Lo spettacolo arriverà dal 26 al 31 marzo 2019 al Bellini di Napoli, reduce dal trionfo romano.
Popolizio, perché ha scelto proprio questo romanzo?
“Il direttore dello Stabile – Teatro Nazionale di Roma, Antonio Calvi, mi sollecitò a proporre un progetto importante e io, che avevo letto Ragazzi di vita per Rai Radio3, pensai subito che fosse il titolo giusto. Provare a ridurlo per il teatro, cercando di portare sul palco le stesse emozioni, è stato il mio obiettivo; un’esperienza che ho già testato con successo in passato, trasformando grandi titoli in drammaturgie”.
Che lavoro avete fatto sull’adattamento e sulla lingua usata da Pasolini?
“Il patto era di non tagliare neanche una virgola, cioè di non adattare il testo, non inserire fiction al suo interno. Abbiamo conferito allo spettacolo una struttura autonoma ma usando solo il libro. E abbiamo recuperato due episodi che erano stati tagliati da Garzanti nelle prime edizioni. Insomma, abbiamo usato liberamente il materiale ma nel rispetto assoluto dell’originale”.
E il linguaggio?
“Si tratta di un romano a volte inventato, creato dall’autore; non è il romanesco di Romanzo criminale. La lingua, però, si colloca al centro di tutto ed è diventata il codice interpretativo per molti dei giovani interpreti in scena, che sono semi-debuttanti”.
Li ha scelti attraverso provini?
“Non faccio provini, preferisco parlare con loro a tavolino. Tendo a fidarmi del mio intuito, se mi convincono li porto direttamente in prova, senza passaggi intermedi, con grande disponibilità”.
Questo spettacolo potrebbe trasformarsi in film?
“No, perché è nato ed è stato concepito per il teatro, con scena scarna e tante parole, tanta recitazione e anche molte canzoni. Però, non è un musical, perché non ci sono le basi. Durante la pièce, i ragazzi cantano le canzoni del primissimo Claudio Villa, ma accompagnando la voce originale che proviene dalla radio. E tutto ciò è presente proprio nel testo di Pasolini. Ci sono brani poco conosciuti come Zoccoletti, di fine anni 50, e altre canzoni importanti di quell’epoca”.
Da pluripremiato attore ad apprezzato regista il passo è breve?
“In realtà non è breve, ma in passato mi sono allenato con una sorta di criptoregia, dando una mano a registi non conclamati. Poi ho fatto altra esperienza dirigendo saggi di accademia e spettacoli più piccoli prima di passare agli allestimenti più importanti e complessi. Ora, spero continueranno a darmi fiducia... anche da grande. Scherzi a parte, a febbraio debuttiamo con lo spettacolo più ambizioso del Teatro di Roma, Un nemico del popolo da Ibsen, in cui sarò anche in scena come attore”.
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