Il teatro? Resiste anche all’Assedio
di Pino Carbone
Novembre 2019
Assedio, cinque attori e due musicisti in una stanza, con loro lo stretto necessario per sopravvivere 1425 giorni, la durata dell’assedio ai Sarajevo o forse solo l ora e 40, la durata dello spettacolo. Taniche per l’acqua, cose da mangiare, libri, microfoni e copioni. In questa stanza si sta senza pretese, in una scomoda verità fatta di divani, tavoli, librerie, fatta di convivenza e d’attesa. Sette persone, sette artisti si preparano ad affrontare l’assedio e scelgono di farlo giocando alla poesia, alla bellezza, giocando al Cyrano de Bergerac, che tentano di mettere in scena, nonostante tutto. Nonostante lo spazio stretto, i costumi inadeguati, la mancanza di tempo, la paura, nonostante il mondo fuori. Ma giocano come solo i bambini sanno fare, credendoci, divertendosi, pronunciando parole più grandi di loro. Cyrano, Cristiano e Rossana vogliono solo amarsi in pace. Come meglio possono, come sembra possibile. De Guiche vuole a tutti i costi portare avanti questa commedia, questa tragedia. Il pubblico vuole giocare alla Cloreste. I musicisti vogliono suonare fino a sovrastare tutto. Rostand e questo adattamento drammaturgico costruiscono un delicato equilibrio relazionale che viene improvvisamente sbilanciato e distrutto dalla guerra. Dall’assedio di Arras a quello di Sarajevo la guerra prepotentemente interrompe l’amore, interrompe il teatro, interrompe il gioco. La guerra arriva e si impadronisce della Storia e della geografia, del tempo e dello spazio; si insinua tra i sentimenti e nelle esistenze e le spacca. Le frantuma. Lo spettacolo intende farsi scudo della poesia del Cyrano da un lato e di poeti bosniaci, come Abdulah Sidran e Marco Vescovic, dall’altro, per proteggere e mantenere incolumi i personaggi nei giorni convulsi. Intende ignorare la fragilità di questo scudo fatto di aria e carta, di parole dette e scritte. L’amore, la poesia, il teatro stesso, combattono fino ad esaurire le forze, eppure seguitando ad esistere, feriti, assediati, ma vivi. Quando tutto sembra finito, i personaggi superstiti provano a recuperare un po’ di poesia, continuando ostinatamente a io care al Cyrano fino alla fine.
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