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Figlia d’arte, tra scivolate e risalite

“Sono attrice di teatro, ma è stata la fiction televisiva a farmi diventare famosa”



Antonella Stefanucci

di Antonella Stefanucci


Sono figlia d'arte.

Fin da piccola sono stata dietro le quinte a spiare, e alle mostre a guardare. Mi ricordo la Grecia in agosto, il Partenone, un caldo bestiale. Il teatro di Epidauro, l'auriga di Delfi, la Spagna, Gaudì, le biennali a Venezia. Su tutti, mi piacevano i concettuali. Quindi la danza, il San Carlo, le prime delusioni, i primi sogni infranti, le prime amarezze, il passo d’addio mancato. Abbandonai perché il mio partner durante le prove del passo a due, alla prima presa, rivolgendosi al maestro, disse: “Maestro, ma mo chi l’aiza a chesta?”

Mi offesi moltissimo e me ne andai, continuando la mia carriera di danzatrice alla scuola di Marianna Troise, tra le prime ad insegnare danza contemporanea a Napoli.

Anche lì non durai perché incontrai il teatro, le prime scritture, i primi guadagni, le compagnie, le tournée che allora si facevano... si partiva ad ottobre e si tornava a maggio, come la canzone che cantavamo in macchina con i colleghi: “e diceva torna a maggio quando tornano li rrose”. Mi divertivo in tournée.

Le figure importanti della mia formazione sono state mio padre Tony, Aldo Giuffrè, il mio secondo padre. E Riccardo Pazzaglia con il magnifico Partenopeo in esilio che mise in scena dopo “quelli della notte”, con Antonella Morea, Ciro Capano e il maestro Esposito che mi diceva: “tu devi cantare come quando si lavano i panni!”

Ho lavorato un po’ con tutti a Napoli, da Salemme ai Santella, dove conobbi Silvio Orlando che mi presentò quello che sarebbe diventato, purtroppo, non il mio avvocato ma mio marito: l’avvocato Ciruzzi, che mi consigliò di deviare dal teatro per intraprendere la strada della comicità, in pratica dello stand up, che sarebbe stata la nuova strada del teatro, e tutto sommato aveva ragione. Ero io a non essere pronta.

Avevo già un po’ di anni teatrali alle spalle e come mi disse un giorno Giancarlo Bozzo, patron di Zelig, durante un laboratorio: “tu vieni dal teatro e te lo porterai sempre dietro”. Insomma, abbandonai anche il cabaret, che pure mi portò risultati. Mi portò Avanzi, in cui avevamo una striscia di satira, Telesantalucia, assieme al compianto amico Riccardo Zinna e ai testi di Domenico Ciruzzi. Poi arrivò Telegaribaldi, Convenscion, Superconvenscion, in prima serata su Rai 2. I miei personaggi, la Scarpone, la Colluso, la psicologa… In Convenscion c’erano tra i più famosi comici italiani: Max Tortora ,Francesca Reggiani, Paolo Friscia, Ubaldi, Porcaro; tra gli autori, Andrea Zalone, Celeste Laudisio, Stefano Sarcinelli.

Al termine di quegli anni televisivi dagli studi Rai di Napoli ero talmente stanca, ma talmente stanca, che anche lì lasciai. E così arrivò Capri, la fiction, che mi diede il successo, la popolarità, i selfie, gli autografi. Che firmavo come Rossella di Capri. E poi la fiction su Giuseppe Moscati con Beppe Fiorello dove interpretavo Nina, la sorella.

Parallelamente il teatro… Dopo Capri, con Domenico Ciruzzi, rimettemmo in scena prima a Galleria Toledo e in seguito al Mercadante – allora diretto da Luca De Fusco – il monologo Colloqui sviluppato in Pregiudizi convergenti, un monologo poetico, toccante di una moglie che periodicamente va a trovare il marito in carcere.

Ho interpretato al Mercadante diversi spettacoli, lavorando fianco a fianco con Francesco Saponaro, Tonino Taiuti, Andrea Renzi, Cristina Donadio, Valeria Parrella, Alessandra Borgia, Gaia Aprea, Paolo Coletta, Zaira De Vincentiis, Imma Villa. In quel teatro ho ritrovato gli amici, le origini da cui provenivo, con meno fama, meno autografi ma più memoria, più sentimento. La mia è stata una carriera, detto in termini velistici, al traverso, mai di bolina. Sempre al traverso, inclinata, fatta di angoli, di strambate, mai una via retta, sempre deviazioni quindi più lunga, più faticosa. A volte un percorso ad ostacoli, forse troppi. Spesso sono arrivata in cima alla scala per poi scivolare all’indietro. Mi sono distratta. La vita in tutte le sue forme, nei suoi avvenimenti, belli e brutti, mi ha spesso distratta. Ho avuto molte vite artistiche, molte facce, come gemelli.

Hanno scritto bene di me Beniamino Placido, Nico Garrone, Enrico Fiore, Stefano de Stefano, meno Giulio Baffi, non lo convinco da un po’ di anni. Pazienza.

Non ho lasciato Napoli. Forse avrei dovuto? Ormai è tardi.

Ogni volta che inizio un lavoro è come se fosse sempre la prima volta, mille dubbi, mille insicurezze… Oggi interpreto Titina la magnifica, mi ero appassionata alle sue commedie, ne ho messo in scena una al Ntf, ne ho curato anche la regia.

In Titina la magnifica, con la regia di Saponaro sono affiancata da Edoardo Sorgente, un giovane attore che sono certa diventerà una certezza del teatro italiano.

Attraverso la vita di Titina De Filippo raccontiamo l’incerta esistenza di un’attrice. La mia forse? Sono sicura che Titina non me ne vorrà.

Ma aspetto ancora il personaggio che mi renderà felice veramente, magari al cinema o in una serie in TV. Quando e se arriverà, mi ritirerò appagata in un piccolo paese con un grande camino. Mi piacerebbe… ecco sì, mi piacerebbe così. E poi dovrò sistemare la mia piccola collezione d’arte, quella dei miei genitori e dei loro contemporanei, dovrò sistemare la mia casa al Paradisiello… Siamo in divenire.

(Ah dimenticavo! Nel mio lungo cammino non ho mai incontrato Servillo e Martone…).


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