di Iaia Forte
Sono stata un’adolescente inquieta, non riuscivo a mettere a fuoco i miei desideri ed i miei obiettivi, mi sentivo inadeguata e confusa. L’incontro con il teatro è stato salvifico, attraverso il teatro ho avvertito che la diversità che sentivo nella mia natura poteva convertirsi in un valore, che potevo non averne più paura. Da piccola ho studiato danza, ho debuttato con Toni Servillo, (che faceva un teatro dove saper usare il corpo era importante) in Partitura, un testo di Enzo Moscato. Poco tempo dopo nacque Teatri Uniti, da una geniale intuizione di Mario Martone, che riuniva in un’unica sigla i gruppi precedenti dello stesso Martone, di Servillo e di Antonio Neiwiller. Ho frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia, ed è stata una bellissima esperienza, ma considero Teatri Uniti la mia vera grande scuola di formazione, non solo strettamente professionale ma esistenziale. Un gruppo con un obiettivo comune, dove tutti, dagli attori ai tecnici, si sentivano investiti a mettere a in gioco la propria creatività ed immaginazione.
Le gerarchie erano funzionali solo ad una organizzazione interna, ma gli spettacoli si costruivano insieme, ed ogni esperienza prevedeva anche l’incontro con musicisti, artisti visivi, intellettuali.
Con gli spettacoli giravamo il mondo, a volte eravamo fuori anche per lunghi periodi, quindi è impossibile per me scindere il teatro dalla mia conoscenza della vita e del mondo. Ho sempre creduto che l’immaginazione è il vero patrimonio di un attore, e nutrirla il suo vero obiettivo.
Ecco, l’esperienza con Teatri Uniti ha definito la mia vocazione, gli ha dato una forma ed un obiettivo. Ho in qualche maniera replicato quel modello nelle mie esperienze successive, con Carlo Cecchi, con Federico Tiezzi, con Luca Ronconi. Con ognuno di questi registi ho fatto più di uno spettacolo, ho potuto approfondire il mio rapporto con la recitazione in nuclei protetti da obiettivi mai generici, e con persone con uno spessore così grande, che hanno reso ogni genesi di uno spettacolo una esperienza determinante al di là dello spettacolo in sé. Ho avuto la fortuna di interpretare grandi personaggi di grandi autori, da Shakespeare a Molière a Testori a Joyce, ed anche questi personaggi, con le difficoltà che mi ponevano, i conflitti e dolori ed intensità prodotte hanno rappresentato un territorio di conoscenza e costituito “riti di passaggio” fondamentali. Nella mia difficoltà a diventare una adulta, nonostante l’età, ecco cos’è stato il teatro per me. Il territorio dove ho potuto continuare a giocare. A giocare, non a scherzare.
Lo scherzo è degli adulti, il gioco è dell’infanzia. E come nel gioco si cerca sempre un’altra realtà; recitare, per me, è proprio cercare un altro mondo, cercarlo, disperatamente.
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