Gli attori? Compagni di viaggio che ci offrono corpo, voce e psiche per aiutarci a creare un’opera
di Maddalena Porcelli
Gentile César Brie,
grazie al mandato ricevuto da Proscenio per un’intervista sullo spettacolo Il vecchio principe, ispirato a Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery, ho avuto l’opportunità di approfondire il suo lavoro e spero fortemente di essere presente nei giorni, tra l’8 e il 9 febbraio 2020 al Nuovo Teatro Sanità, per assistere a questa rappresentazione prodotta da Arti e Spettacolo/César Brie, che la vedrà in scena insieme agli attori Fabio Magnani e Lara Bossi. La vedremo anche al Tram Teatro il 15 e il 16 febbraio, dove firma la regia di In fondo agli occhi.
Ripercorrendo le tappe delle sue esperienze, in particolare quella in Bolivia dove, dal 1991, ha fondato il Teatro de los Andes, svolgendo per anni accurate ricerche antropologiche, a stretto contatto con la cultura, la tradizione orale, la mitologia, di quel popolo, producendo anche un documentario Humiliados Y Ofendidos nel 2008, sul massacro avvenuto sulle rive del fiume Tahuamanu, nella giungla, di una comunità che difendeva la propria terra, viene da chiedersi se Il vecchio principe, che sembra inscriversi all’interno di un impianto culturale più occidentale, dove la cura, la solidarietà, l’inclusione del diverso, sono valori banditi e i vecchi per lo più abbandonati a se stessi, possa risultare comprensibile in un contesto comunitario come quello indigeno, portatore di valori opposti ai nostri.
Lei racconta in prima persona la solitudine di un anziano, confinato all’interno di un istituto geriatrico, aggrappato alle sue fantasie poetiche, incompreso per le persone che gli ruotano intorno, che le considerano soltanto l’esito di un decadimento mentale.
“Non idealizzerei le culture indigene. Credo che dovremo guardare sempre le cose per quello che sono. Le culture primordiali hanno elementi di cui abbiamo bisogno”.
Il suo è essenzialmente un teatro poetico, al cui centro c’è un lavoro fondato sulla capacità di autenticità attoriale, intesa come processo di conoscenza di sé, di armonia tra mente e cuore, che agisca per liberarsi dalla finzione e identificarsi con la vita. Lo si può definire un “teatro sociale”?
“Non amo le mode. Il teatro è sempre sociale. Credo che il coro sia la pluralità dell’intimo. Che dentro l’io si annidi il noi e che fare teatro sociale (come lei lo chiama) sia discoprire dei veli per vedere meglio gli altri. Io lo chiamo teatro senza aggettivi. Credo che il teatro, pur essendoci in esso diversi ruoli, sia un fatto collettivo. Detesto i registi che maltrattano gli attori. Sono persone che ci offrono corpo, voce e psiche per aiutarci a creare un’opera. Non sono pedine, ma compagni di viaggio e noi siamo sempre in viaggio. L’arte deve inquietarci e metterci in crisi. Il teatro è una grande composizione, dove molti elementi entrano a farne parte. Ma, si, l’attore è centrale, è il creatore, come poeta, come il corpo e la voce che incarna e ci dà qualcosa che prima non c’era”.
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