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Museo Pasolini tradizione viva. Visita guidata nella vita del poeta-mito

“Questo percorso tra opere affiancate agli eventi del nostro recentissimo passato mi è sembrata una sorta di passeggiata attraverso le stanze di un museo”



di Ascanio Celestini

Ho cominciato due anni fa a lavorare per questo spettacolo. Si parla tanto di Pasolini, ma siamo abbagliati dal mito. Un’immagine che sta tra l’idealizzazione del personaggio e il desiderio di ritrovare qualcosa di lui nel nostro presente, negli artisti di oggi e forse in noi stessi. Forse anche io vivo questa fascinazione. Vivo l’incantesimo della sua leggenda. Ma ho cercato di guardarlo nel tempo in cui ha vissuto. Non mi chiedo mai “cosa avrebbe detto Pasolini di Berlusconi? Avrebbe votato per il PD come votava per il PCI? Cosa direbbe del vaccino?”. E quando mi chiedono cosa direbbe oggi, io rispondo che avrebbe cent’anni e forse non sarebbe più lucido come negli anni ’70 quando ne aveva la metà e scriveva i suoi articoli sull’aborto e il divorzio, abiurava alla trilogia della vita o chiedeva di processare alcuni esponenti della DC. Per contestualizzarlo e guardarlo come una persona viva e non come un monumento isolato mi sono fatto guidare da un suggerimento. Vincenzo Cerami disse che “se noi prendiamo tutta l’opera di Pasolini dalla prima poesia che scrisse quando aveva sette anni fino al film Salò, l’ultima sua opera, se noi prendiamo tutto insieme il suo lavoro, tutto insieme e poi lo ordiniamo secondo cronologia: questo prima, quest’altra opera dopo, quest’altra opera dopo ancora, prima un film poi una poesia poi una discettazione giornalistica, poi un saggio, poi una tragedia, bene, noi avremo il ritratto, il disegno della storia italiana dalla fine degli anni del fascismo fino alla metà degli anni ’70. Pasolini ci ha raccontato cosa è successo nel nostro Paese in tutti questi anni”.

Questo percorso tra le sue opere affiancate agli eventi del nostro recentissimo passato mi è sembrato subito una sorta di visita guidata attraverso le stanze di un museo. Nella prima stanza ci potrebbe essere il 1922, anno della sua nascita, ma anche inizio del fascismo con la cosiddetta marcia su Roma. Ma se pesco a caso posso chiedermi “cosa faceva il poeta nel 1964 quando De Lorenzo si preparava a fare il colpo di Stato in Italia?” In quell’anno presentava il suo film sul Vangelo. Al festival di Venezia era seduto accanto a Aldo Moro, presidente del Consiglio del primo governo di centro-sinistra. Nell’anno in cui si occupano le fabbriche, i socialisti entrano nella stanza dei bottoni e i carabinieri preparano il golpe… un film su Gesù sembra una contraddizione. E invece ci stimola a ragionare sulla forza rivoluzionaria del pensiero di quegli anni. Non si stavano radicalizzando solo certi comunisti, ma anche certi cattolici. E se i primi avevano il mito di Che Guevara, i secondi lo trovavano in Camilo Torres, rivoluzionario armato di mitra, ma anche prete.

Seguendo il suggerimento di Cerami ho scritto un racconto che procede “secondo cronologia” dal ’22 al ’75. In particolare ho pensato a cinque oggetti per il mio museo. Il primo è la poesia che scrisse a sette anni. Un giorno la madre Susanna, che era maestra, scrisse dei versi per il figlio e lui comprese che la poesia è qualcosa che possono produrre tutti, bella o brutta che sia. Il secondo oggetto è il piccolo cimitero di Casarsa della Delizia in Friuli nel quale riposa accanto alla mamma, ma anche a poca distanza dal padre, dal fratello, dalle zie e dalla nonna. Visitare quel posto è come sfogliare un album di famiglia. Il terzo oggetto è l’innocenza perduta dei comunisti in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria. Il quarto è la bomba che esplose nella banca di Piazza Fontana a Milano. Il quinto è il suo corpo ritrovato all’Idroscalo di Ostia, le ossa spezzate, l’emorragia del cuore, gli stivaletti marroni, la biancheria che un carabiniere indica nel verbale come ordinaria, mentre un altro aggiunge “strano, uno come lui era più logico pensarlo in mutandine di seta”.

Non sono oggetti che potremmo davvero trovare in un museo tradizionale dove le opere hanno una loro forma, un colore, una cornice o un piedistallo e magari anche un prezzo. Ma un museo contemporaneo non funziona più in questa maniera. Persino i burocrati dell’UNESCO indicano che “il patrimonio culturale non sono solo monumenti e collezioni di oggetti” ma anche le “tradizioni vive”, immateriali e persino orali. E dunque il mio Museo Pasolini vuole essere davvero un museo. Lo spettacolo deve essere una visita guidata. Anziché chiedere al fruitore di entrare in uno spazio museale che ha una sede fissa, il visitatore del Museo Pasolini sarà raggiunto nel teatro della propria città, nella piazza di paese, nel cortile sotto casa. Ma il teatro è soprattutto il contenitore. Chiudere Pasolini nel recinto del palcoscenico per recitarlo sarebbe stata una cattiveria. Dobbiamo ricordarci che disse: “Vado a teatro molto poco, e ogni volta giuro di non tornarci più”.


Museo Pasolini di Ascanio Celestini il 22 febbraio alla Sala Pasolini di Salerno.


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