L'arte rispecchia il divenire di ogni essere umano. Il Teatro ne coglie l’attimo.
di Monica Guerritore
Novembre 2018
Oggi il prodotto tecnico o artistico opera su cliché la cui forma originale ha richiesto via via tratti esteriori semplificati per facilitarne la replica a livello industriale e rendere il prodotto adattabile al maggior numero di utenti/menti possibili. I messaggi fondano la loro potenza iconica sulla semplicità. Qualunque crisi del tratto estetico/etico crea un inciampo nella riproduzione immediata. Bombardati da oggetti semplici, pensieri facili, slogan, indossiamo le maschere del quotidiano, ci ripariamo nei luoghi comuni che facilitano le relazioni, senza sfiorare mai la verità presente in ognuno di noi.
In Il cigno nero Taleb scrive: “Non è più necessario che l’artista sia presente ad ogni rappresentazione. La tecnica della riproduzione ha scalzato l’unicità della sua performance”. Il costo “uno‑uno” non può competere con il ricavo “uno-un milione di copie” e, se non combattiamo, sarà la fine dell’esperienza che è nel rito teatrale e in qualunque altro evento non riproducibile, non comprimibile, non masterizzabile.
E nelle persone cresce la solitudine, la mancanza di rappresentanza, di racconto.
“Che cos’è questo racconto ispirato ad un essere e animato dal nostro umano sentire? (Heder). L’esperienza teatrale che è tutto, danza, musica, teatro civile, classici, poesia, fonda la sua energia rivoluzionaria proprio nel suo farsi che sfugge alla staticità.
Un parlare fantastico per sostanze animate”, scrive Vico.
Quante volte in presenza di un’opera d’arte letteraria o pittorica o performativa (cinema/teatro) ci è capitato di percepirne “vita propria”. In quale lingua sta parlando quell’opera e a chi parla? Non alla mia intelligenza. Si riconosce solo ciò che già si conosce e quell’opera è inaspettata, il suo linguaggio si propaga nel silenzio a un’altra me. È quello che Platone chiama l’antico nostro essere e si manifesta nella visione delle cose, nella percezione delle ombre delle cose.
La vita vera è nelle ombre”, racconta Celan. La sua visione è in trasparenza, non ha occhi per una realtà bidimensionale materica vive di sguardo periferico, di intuizione. Dargli attenzione e ascolto ci guida nella creazione di un archivio immaginario interiore che non vale in sé, non vale per la catalogazione ma per la dinamica con la quale riesce a prendere posto in quella stanza immaginaria e quanto smuove di te collocandosi.
Ecco l’esperienza del Teatro! La sala buia, la vicinanza silenziosa con altri esseri umani, la presenza e allo stesso tempo l’assenza; sei qui e sei in un altro mondo intento a un dialogo solitario con una rappresentazione che è unica e non replicabile.
È questo lavoro così intimo e personale, eppure svolto in collettività, quasi un processo alchemico, che trae nel tempo della lavorazione il suo fine, quel luogo che Keats chiama la valle del fare Anima, e diventa strumento, metodo per interpretare le ombre del mondo smettendo di subirne l’impatto visivo.
Il teatro è un luogo dove il tempo ha un altro tempo.
“Fermando il tempo, riconquistando il valore del tempo possiamo sfuggire ai dettami del collettivo che impongono di essere qualcosa senza pensare o senza badare all’Essere”, asserisce Franzini. Non voglio farmi catturare. Voglio tenere ben oliati gli strumenti per elaborare un pensiero individuale e potermi fidare della mia capacità di percezione, del mio sentire.
Voglio pensare. Il teatro è la mia palestra.
È solo prendendo conoscenza di quello che c’è nel nostro al di là interiore, che la vita diventa ricca, autentica, pregna di significato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,/agli altri ed a se stesso amico,/e l’ombra sua non cura che la canicola/stampa sopra uno scalcinato muro… (Montale)
È quell’ombra sullo scalcinato muro che dobbiamo tenere congiunta, seppur con un piccolo lembo strappato, al corpo a cui appartiene, per preservarne profondità, spessore e mobilità propria del corpo immateriale. L’estrema mobilità del cuore e della ragione che si devono all’unicità e sperimentalità della riflessione in ogni atto teatrale: metamorfosi stessa dello spettatore e dell’attore nel tempo della rappresentazione.
“L’essere umano si trova sempre in una posizione precaria. Il teatro è l’arte della cosa che non resta, della cosa che si muove. Ecco perché è così grande, perché è il simbolo dell’umano. Il teatro è il racconto di un uomo che diventa racconto di tutta l’umanità” (Strehler).
Scrive Brecht: “Un tale incontra K. e gli fa: Sono vent’anni che non ti vedo, lo sai che non sei cambiato per nulla?”. Commenta poi Brecht che il signor K. andò a casa e prese a fissarsi allo specchio terrorizzato, pallido, pensando all’orrore di non essere cambiato per nulla. Di essere rimasto sempre lo stesso...
Arte è un divenire senza margini e traguardi, rispecchia il divenire di ogni essere umano.
Il Teatro ne coglie l’attimo.
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