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“Mine vaganti” ritmo incalzante perfino nei silenzi

Ozpetek firma l’allestimento del suo film “Ho dovuto lavorare sui sentimenti e sulle risate. Non volevo uno spettacolo lento”



Foto di Romolo Eucalitto

di Anita Curci


Nonostante avessi già sperimentato il teatro attraverso la lirica, teatralizzare una pellicola mi preoccupava, perché potevo correre il rischio di non riuscire nella resa dei contenuti. Mi sono poi accorto di aver vissuto una bella esperienza”. È così che il regista, sceneggiatore e scrittore Ferzan Ozpetek racconta del suo esordio in palcoscenico con la prosa, ispirandosi al suo film omonimo Mine vaganti del 2009. Lo spettacolo è prodotto da Nuovo Teatro di Marco Balsamo e vede tra gli interpreti Francesco Pannofino, Iaia Forte, Erasmo Genzini, Carmine Recano, Simona Marchini. Al Verdi di Salerno dal 17 al 20 febbraio.

Ozpetek, da regista cinematografico di successo alla direzione di uno spettacolo. Già lo aveva fatto con Aida, La traviata e Madama Butterfly. Stavolta porta in scena un suo film. Cosa l’ha convinta ad affrontare l’impresa?

“Quando raccontai la trama di Mine vaganti al produttore cinematografico Domenico Procacci, ero in Sardegna, lui rimase colpito dalla storia, aggiungendo che sarebbe potuta diventare un’operazione entusiasmante anche a teatro. Oggi, tormentato da Marco Balsamo, e lo dico con riconoscenza e affetto, ho pensato che quella prospettiva poteva realizzarsi”.

I tempi del teatro sono diversi da quelli del cinema…

“Ho dovuto trasportare in palcoscenico i principii del film, lavorando sui sentimenti, sulle risate, sui momenti malinconici e inserendo più parole per esprimere i significati che nel film vengono trasmessi dai primi piani. Ho agito per sottrazioni, lasciando quell’essenziale divertente, attraente, intrigante. Sono stato obbligato a sacrificare parti che mi piacevano, ma che non erano funzionali, e ne ho introdotte di nuove per dare rinnovata forza all’allestimento. Per esempio, gli amici gay erano tre, sono diventati due. Nel cinema, l’omosessualità la sottolinei senza eccedere, qui è diverso. È stato necessario introdurre uno spettacolino per marcare, ottenendone una caricatura, quelle caratteristiche che prima arrivavano alla gente con disinvoltura. Il teatro può permettersi il lusso dei silenzi solo se sono esilaranti, altrimenti vanno riempiti con frasi e situazioni forti”.

Da quale idea è partito?

“Sono partito dal fatto che a teatro mi capita di annoiarmi. Non volevo prima di tutto uno spettacolo lento. Ho costruito così un ritmo che non si ferma mai, anche durante il cambio di scena. Devo per questo dare il merito a Luigi Ferrigno che si è inventato dei movimenti con i tendaggi, supportati dai giochi di luce di Pasquale Mari. Anche i costumi sgargianti di Alessandro Lai fanno la loro parte. Ho realizzato uno spettacolo che andrei a vedere. Lo stesso mi capita con i film”.

Cosa è cambiato nel-l’ambientazione?

“Da Lecce l’ho trasportata in un paese della dimensione tipo Gragnano, dove la notizia che il figlio del proprietario di un pastificio è gay correrebbe di voce in voce, diventando la chiacchiera del luogo. Rimane la famiglia Cantone con le sue radicate tradizioni culturali alto borghesi e un padre desideroso di lasciare in eredità la direzione dell’azienda ai due figli”.

Che differenza c’è tra fare Cinema e fare Teatro, anche emotiva oltre che pratica?

“Parliamo di due mondi diversi e, tra i due, preferisco il Cinema che è la mia vita. A teatro ci si stanca parecchio. Una scena va ripetuta spesso, fino a quando l’interprete non trova l’espressione che serve. Con il film, dopo massimo due, tre prove, registri e fermi. La scena rimane lì per sempre e non la ripeti più. Sono due modalità diverse per tirare fuori significati e emozioni”.

Com’è tornare a teatro dopo il fermo, le paure, le precarietà portate dalla pandemia?

“Bello, naturalmente. Si aggiunge l’emozione e la voglia di riprendere quanto avevamo lasciato”.

Lo spirito della compagnia di Mine vaganti al ritorno sulle scene dopo la quarantena?

“Davvero forte. Tutti non vedevano l’ora di ritrovare i colleghi, di stare a contatto con gli altri, di comunicare. Soprattutto dopo un isolamento di questa natura”.

Come vede il prossimo futuro del Cinema e del Teatro in virtù degli ultimi bollettini sui contagi?

“Sono ottimista, perché nonostante tutto la gente ha tanto bisogno di non perdere il contatto umano. Poi, tutto dipenderà dal corso del virus. Per fortuna, non si è mai smesso di fare Cinema. Soprattutto le Serie TV. Senza quelle, la gente costretta a casa sarebbe impazzita”.


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Foto di Romolo Eucalitto

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