“Filo Filò” e la reunion degli antenati. Un testo tra passato e tecnologie
di Marco Paolini
Maggio 2020
Filo Filò è un’invenzione, un modo di rifare le cose con le parole. Ero così contento di averlo inventato che ci sono rimasto un po’ male quando mi hanno detto che questa cosa esisteva già. Teatro, si chiama teatro l’invenzione, mi hanno detto; e io ho pensato: vabbè, l’importante è che funzioni. Teatro e scienza si attraggono come due particelle elettriche di carica opposta. L’attrazione reciproca sembra (o è) dimostrata dall’apparire sulla scena di due tipi di figure e di spettacoli: quelli agiti da scienziati-non attori, e quelli agiti da attori-non scienziati. A volte, poi, in scena ci vanno insieme e fanno un ibrido. Ogni esperimento presenta dei limiti, ogni tentativo mira a superarli. Da questo punto di vista il teatro mi sembra oggi un laboratorio necessario e formidabile.
Gli spettatori di ogni serata sono una componente importantissima, lo spettacolo deve tenerli vivi, vegeti, e possibilmente svegli fino alla fine. La necessità condivisa di raccontare le scoperte e le applicazioni, di ragionare o far ragionare sulle implicazioni, sui progressi, sui problemi non basta; il teatro non vive di buone intenzioni, ma di linguaggi efficaci, di emozioni, di storie. La sfida per me è usare il teatro per rendere visibili le domande giuste, quelle che dovremmo porci davanti alle possibilità aperte da scienza e tecnologia. Per farlo serve un po’ di immaginazione, coraggio di sbagliare e disponibilità a imparare dagli errori. Se nelle Università si ragiona sulla possibilità e opportunità di far rivivere il mammut o altre specie estinte, allora a teatro, con un esperimento mentale, si possono far rivivere i nostri antenati, fino ai progenitori della specie.
Così, per ragioni che qui non si spiegano per non rovinare la sorpresa, il protagonista (Filo) organizza una formidabile reunion di famiglia con i propri antenati, rintracciati grazie alla mappa del suo genoma. Grazie alle applicazioni derivate dal progetto genoma umano, la paleontologia sta riscrivendo quanto pensavamo di sapere sulle nostre origini. Così, forzando un po’ la mano, si può immaginare di ricostruire l’albero genealogico, o, per meglio dire, il cespuglio. Cosa accade quando (quasi) tutti gli antenati si ritrovano insieme nel nostro tempo? Come ci si parla, come ci si capisce? Quali risposte ci aspettiamo da questo strano incontro?
Agli antenati, Filo racconta il suo personale rapporto con la tecnologia, con la rete, con i totem, le sue speranze e le preoccupazioni per il futuro. E a loro chiede aiuto per decidere se favorire l’evoluzione accettando un corpo nuovo di zecca vinto on line. Il racconto è surreale, leggero, divertente, immaginario, ma gli argomenti e i riferimenti sono tutti nell’agenda delle realtà tecnologiche adiacenti, cioè appena fuori portata di mano, ma possibili. Possibilità a cui guardano mercati e investimenti. La necessità di farsi capire impone di usare parole semplici per descrivere questioni epocali che diventano personali. Ecco la ragione per fare, a teatro, questo esperimento.
La globalizzazione, Internet, l’intelligenza artificiale, la bioingegneria producono accelerazione e discontinuità, che danno eccitazione e disorientamento, stupore e nuove abitudini. Le nuove applicazioni hanno bisogno di acceleratori, di incubatori di idee. Allora il filò a teatro serve a rallentare il flusso, a unire i puntini del disegno attraverso la forza dell’oralità. L’oralità che fa da bussola, che smaschera i termini difficili (smontandone la forma e i tecnicismi) per renderli narrabili, capaci di muovere pensieri ed emozioni. Da alcuni anni uso la parola Filò assieme ad altre per indicare delle serate dove dialogo con gli spettatori e racconto storie. Benché il percorso sia segnato da temi ricorrenti e da alcuni ragionamenti trasportati da una serata all’altra, da un titolo all’altro, Filo Filò è uno spettacolo completamente diverso e nuovo rispetto al precedente, Tecno Filò, di due anni fa. Fare il Filò, significa per me affrontare una performance diversa, mettermi in ascolto e creare, con le storie, un flusso diverso sera per sera, che dia senso al mio fare teatro.
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