Il testo mancante
di Lucia Calamaro
Gennaio 2020
Un testo di teatro ha una strana natura... Manchevole... Insufficiente... Più tecnicamente bucata. Al testo di teatro manca il pieno dello spettacolo. E questa è una cosa che non mi stancherò mai di ripetere ... Soprattutto quando ad una prima lettura delle mie cose mi si obietta che appaiono un po’ squinternate: e per forza! La quinterna si capisce dopo... In sala prove... E poi, del tutto, col pubblico. E non al tavolino. Da sola. Quando meramente penso e scrivo. Questa certezza che mi abita, mi rende abbastanza sospettosa quando a scrivere di teatro sono romanzieri o intellettuali, teorici o giornalisti... Insomma, gente che non ha la pratica del palco. Diffido perché senza un’idea chiara dei tempi scenici, del respiro del pubblico, della variabile fondante dell’attore che va istruito e portato per mano all’attraversamento di un linguaggio proprio, ma attinente all’opera in fieri... Senza quel “va e vieni” faticoso e urtante tra la propria mente d’autore e la variabile concreta “dell’altro’:.. ‒ altro inteso come pubblico, ma anche come palco e come interprete ‒ per me non è teatro. Scrivere teatro è uno scrivere diverso dagli altri scrivere... Perché è scrivere uno spettacolo, contemplare cioè all’interno delle parole e delle pause i problemi di regia, di luci, di costumi, di visibilità, di durata... Di tutto quello che manca alle parole. Per questa mancanza congenita, il teatro ha una qualità evocativa e simbolica infinitamente superiore alle altre pratiche, perché nella sua difettosità chiama l’invisibile a essere prima o poi visibile. E quando questo accade, in sala scende un momento di grazia. In una vita di teatro sono rari, ma rendono il nostro mestiere un’arte.
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