Vita e teatro di Antonio Latella a cura di Emanuele Tirelli
Edizioni CARACO' – Collana Teatri di Carta
pgg. 87 – Euro 7,00
di Antonio Tedesco
La misura dell'errore è un libro in forma di intervista attraverso il quale il curatore Emanuele Tirelli ripercorre la carriera di Antonio Latella. A partire dagli esordi, dai primi segnali di una vocazione forte, tanto da spingerlo a interrompere gli studi regolari per seguire dei corsi di infermiere e avere così un lavoro con cui pagarsi le lezioni di recitazione. Figlio di operai meridionali emigrati al nord, il futuro regista è costretto a scelte non facili. Ma percorre la sua strada con tenacia e caparbietà. Entra alla scuola del Teatro Carigliano di Torino. Di lì, un passo alla volta, vengono gli incontri importanti della sua carriera. Gassman e Ronconi, ma anche Massimo Castri, Elio De Capitani, Franco Però, Antonio Syxty. Durante la sua breve, ma intensa carriera recitativa Latella compie, sostanzialmente il suo tirocinio da regista assorbendo il lavoro dei maestri con i quali viene a contatto. Lavora su Shakespeare (la sua vera scuola di teatro, lo definisce). Prende coscienza di quello che indica come “la misura dell'errore”, il grande valore formativo che può avere un approccio sbagliato che il regista (nato a Castellammare di Stabia perché la mamma volle venire a partorire al sud) reputa come passaggio formativo indispensabile. E poi vennero Genet e Pasolini, Porcile, in particolare, del 2003, con il quale mise a punto il suo stile, la sua maniera personale e originale di fare teatro. La sua capacità di aprirsi a nuovi spazi, a nuove visioni, sceniche e drammaturgiche ne hanno fatto un regista molto apprezzato anche all’estero.
Si trasferisce a Berlino, dove ormai vive da molti anni. La sua carriera si è articolata tra varie esperienze: la direzione dello Stabile dell’Umbria, regie di opere liriche, e la direzione artistica del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli. Qui il tentativo di introdurre criteri di gestione e produzione fortemente innovativi naufragò per il sopraggiungere di gravi problemi di natura economica.
Ma l’aspetto più interessante di questa lunga intervista è che mette in risalto la figura di un artista-lavoratore, un ispirato artigiano che, si direbbe, lavora a mani nude la materia teatrale con cui si trova a confrontarsi (precisa di non accostarsi mai con idee già pronte o preordinate ad una nuova messa in scena). Innamorato della sua arte, disposto ad identificare interamente con essa la propria vita, Latella pratica un teatro che si nutre di una forte spinta interiore, della necessità di trasformare in forma comunicativa non solo le proprie idee, ma anche, e forse soprattutto, i propri dubbi, i propri travagli, i propri conflitti interiori.
Un libricino per molti versi “aureo”, questo di Tirelli, una lezione sul campo di “scienza del teatro”, espressa attraverso la voce di Latella, senza prosopopea né saccenteria, ma come il frutto di una laboriosa, faticosa, gratificante conquista quotidiana.
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