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“L'Oreste. Quando i morti uccidono i vivi” di Francesco Niccolini al Sannazaro dal 21 al 23 gennaio

Uno spettacolo illustrato da Andrea Bruno con Claudio Casadio, per la regia di Giuseppe Marini



di Roberta D’Agostino

“L’Oreste. Quando i morti uccidono i vivi” di Francesco Niccolini va in scena la teatro

Sannazaro dal 21 al 23 gennaio 2022. Si tratta di uno spettacolo illustrato da Andrea Bruno con Claudio Casadio per la regia di Giuseppe Marini. Una produzione Accademia Perduta Romagna Teatri - Centro di Produzione Teatrale – Società per attori in collaborazione con Lucca Comics&Games.

Giuseppe Marini, cosa racconta L‘Oreste di Francesco Niccolini interpretato da Claudio Casadio?

Potremmo anche definire L'Oreste come una riscrittura dell'Orestea di Eschilo per attore solo. Una declinazione o destrutturazione del mito classico, di quel grumo originario che ha sede nella famiglia. Oreste è il primo matricida della storia, ma solo dopo che la madre Clitennestra col nuovo compagno Egisto avevano ucciso Agamennone, padre di Oreste. La collocazione in una Romagna rurale (tra Fellini e Bertolucci, passando per Zavattini e Tonino Guerra) conferisce a questa riscrittura un fascino particolare e originalissimo.

Oreste è un internato nel manicomio di Imola da 30 anni in seguito a vicende efferate avvenute, appunto, all'interno del suo nucleo familiare. Ha sublimato e, in parte, riscattato il suo disagio col disegno e la pittura. Ma ci sono "buchi neri" rimossi nella sua psiche che attengono di tornare alla luce. In fondo tutto la fabula dell'Oreste è una sorta di giocoso (ma non sempre) psicodramma in cui il protagonista rimette in scena la sua vita fino a quel momento. Si serve a questo scopo di compagni di scena immaginari, proiezioni della sua mente, affidati a dei comics. Ecco che lo spettacolo propone una interessante e a mio avviso riuscita interazione tra teatro e fumetto in una felice coesistenza, tutta molto feconda per il teatro e il suo specifico linguistico. Esito tutt'altro che scontato quando si fa ricorso a questi mezzi. Lo spettacolo ha avuto la sua prima nazionale proprio all'interno del festival più importante a livello internazionale del settore che è Luccacomics and Games a Lucca, nella prestigiosa sede del Teatro del Giglio.

L'Oreste è una riflessione sull'abbandono e sull'amore negato. Come vengono spiegate le due cose nello spettacolo?

Abbandono e amore negato sono a mio avviso due elementi che sempre e in ogni contesto minacciano e destabilizzano un equilibrio psichico, come nel caso del nostro protagonista, struggente esempio di un'infanzia ingiustamente e sfortunatamente spezzata proprio da eventi e situazioni inerenti il nucleo primario che è la famiglia. La riflessione è anche proprio sulla possibilità di come questa istituzione umana da generativa e formativa possa trasformarsi in qualcosa di pericolosamente e irrimediabilmente distruttivo. Tutto questo però all'interno di una scelta stilistica che privilegia un "tocco" leggero (mai superficiale) e delicato; ecco a mio avviso la novità. Malattia mentale e follia vengono spesso raccontate a teatro, e non solo, in battere o troppo in "rima baciata" con la tragedia che le sottende. Il delicato a teatro, e non solo, è una qualità un po' più difficile da raggiungere, ma che valeva la pena percorrere per questa storia. La coesistenza di tragedia e levità, più che comicità conclamata, può essere definito il biglietto da visita di questo spettacolo. Ma a proposito di biglietto da visita, ce n'è uno speciale costituito dal suo protagonista: un Claudio Casadio in stato di grazia. La sua maschera e la sua voce, originalissime, non ho timore di definirle un regalo per l'anima per chi, spero in tanti, verrà a vedere questo spettacolo.

Mi colpisce leggendo le note sullo spettacolo, l'Oreste è sempre allegro, canta, disegna, non dorme mai, scrive alla sua fidanzata parla sempre. Oreste è internato in un manicomio fin da quando era bambino eppure c’è allegria in lui. Questa nota di speranza è ovviamente cercata e voluta?

Levità e struggente allegria, sono spesso, più spesso di quanto si pensi, la possibile risposta a tragedie esistenziali importanti che trovano proprio in questo canale inedito e non scontato (o appunto in banale "rima baciata") una possibilità di espressione e che non per questo differiscono un esito finale comunque tragicamente ineluttabile...

Comicità e drammaturgia in un solo spettacolo come è riuscito in questo equilibrio?

Non saprei rispondere compiutamente a questa ultima domanda. Questo equilibrio o il "delicato" di cui parlavo prima hanno bisogno di una mano ferma, lucida, di un tocco particolare originato da esperienza e da una particolare nettezza di visione, oltre che da quell'amore incondizionato per le cose nascoste, a teatro come nella vita, dove c'è sempre bisogno di non ripercorrere strade già battute e di non ribadire all'infinito il già noto. Ne vale la pena, altrimenti che senso avrebbe il nostro lavoro di registi? Non ha per me grande interesse "decorare" l'ovvio. Ha senso per me sorprendermi

per primo e proporre delle sorprese, delle possibili ulteriorità. Mi auguro sempre, prima, durante e dopo ogni spettacolo di non derogare mai da questo intento.


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