Il romanzo di Veltroni a teatro con Valerio e Fares diretti da Mazzotta
di Alfredo Carosella
Dal 21 al 23 gennaio alla Galleria Toledo di Napoli è in scena l’atto unico L’inizio del buio, tratto dall’omonimo romanzo di Walter Veltroni. L’adattamento teatrale è di Sara Valerio che è in scena insieme a Giancarlo Fares, con la regia di Peppino Mazzotta e l’aiuto regia di Alessandro Greco. Lo spettacolo racconta di due storie realmente accadute quaranta anni fa quasi simultaneamente e rimaste ancora oggi nella memoria collettiva. I protagonisti sono due persone semplici: un bambino di sei anni, Alfredino Rampi, e un antennista di San Benedetto del Tronto, Roberto Peci, fratello di Patrizio, il primo brigatista rosso pentito.
Mazzotta, cosa hanno in comune i due personaggi?
Walter Veltroni mette insieme queste due storie che hanno innanzitutto una concomitanza cronologica. È un racconto parallelo dell’Italia degli anni Ottanta, molto diversa da quella di oggi, perché con quella esperienza cambia il livello comunicativo audiovisivo che diventa un reality, una diretta senza interruzione per esporre un dolore privato. Come per i comunicati dei brigatisti rossi. Non sono più sufficienti i testi, ma servono i video per evidenziare le reazioni della vittima, la solitudine e il fatto che il destino della vittima stessa dipenda dagli altri. È un particolare in comune con Alfredino: anche il suo destino è in mano ad altre persone.
Come ha scelto di farli interagire?
È uno spettacolo di narrazione, i due raccontano al pubblico le proprie storie. Su di loro ci sono delle plafoniere di quel periodo che restano spente durante la prima parte, poi arriva la televisione e le luci si accendono, perché le storie entrano in tutte le case. In scena c’è un vecchio televisore e gli attori, di tanto in tanto, si rivolgono direttamente all’apparecchio.
La vera protagonista è la televisione, dunque?
In quegli anni c’era solo la RAI e forse i giornalisti non volevano essere predatori come succede oggi. C’era anche un problema politico, erano anni bui e forse speravano di poter raccontare una vicenda a lieto fine che però è finita tragicamente. Dopo i due eventi, si è capito che quel modo di mostrare il dolore privato poteva raccogliere molto seguito. È stato un esperimento riuscito. Pensiamo a cosa sono i social network adesso, dove si usa il positivo per veicolare il negativo.
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