Eugenio Montale e il sogno di esplorare i territori dell’opera come baritono:
“Se l’avessi fatto, sarei morto il giorno del debutto”
di Giuseppe Sollazzo
Chi desidera approfondire biografia e poetiche di un ragioniere con voce da baritono, dedito ad arie e romanze e approdato poi al regno della poesia, deve leggere il bel libro di Maria Silvia Assante, L’Analfabeta Musicale, da Accordi a Prime alla Scala, e scoprirà curiosità e passioni di Eugenio Montale, uno dei massimi poeti del Novecento, premio Nobel nel 1975. Poeta, ma anche bibliotecario, traduttore, scrittore, pittore, critico letterario e musicale, e “persino disoccupato per riconosciuta insufficienza di fedeltà a un regime che non potevo amare”, come confidò alla premiazione del Nobel. (Un anno dopo l’approvazione delle leggi della razza, Montale fu rimosso dall’incarico di Direttore del Gabinetto Vieusseux a Firenze). Il libro della giovane ricercatrice è snello ma denso, in duecento pagine c’è il racconto del secolo breve osservato dalla parte della poesia. Montale da ragazzo sogna di calcare le scene del melodramma, ma la morte del suo maestro suggella, come scriverà anni dopo, “la fine del canto e dell’incanto”. Per il mancato baritono, il cantante ideale è un mix miracoloso di genio e di mancanza di scrupoli, come accettare altrimenti il ridicolo di indossare calzamaglie e parrucche. E anche la sua particolare sensibilità non gli avrebbe consentito di affrontare il pubblico, l’“uomo dalle mille teste”. In un’intervista di molti anni dopo, rivelò: “sarei morto il giorno del debutto”.
Nella ouverture del volume, l’autrice ci racconta “La preistoria di un cantante mancato”, e scopriamo così il passato da claquer dell’autore di Ossi di seppia, la sua passione per l’operetta, la prima Sonnambula vista a teatro quando tra un atto e l’altro si bevono gazzose con il pallino. Ma è Debussy con i suoi Preludi a irrigare la mente del giovane Montale. La trasformazione da cantante mancato a poeta, probabilmente nasce con l’ascolto di Les colline d’Anacapri e di Minstrels. La musica sconnessa del compositore francese, lontana da dogmi e accademie, contagia Montale e la sua voglia di rinnovamento. Il primo risultato è Musica sognata, (prima edizione, poi Minstrels). Protagonisti del componimento sono personaggi da Commedia dell’Arte, (Tre avanzi di baccanale/vestiti di ritagli di giornale), presenti in tanta parte dell’iconografia del ‘900. Basti pensare ai clown di Picasso, al Pulcinella di Stravinskij, fino a Charlot e a Totò. Come spiega l’autrice si tratta “Dell’incarnazione dell’antieroe borghese e dell’anti-vate il pagliaccio, capace di suscitare un riso amaro, è l’unico personaggio in cui può riconoscersi l’artista a cui è caduta l’aurea”. Le atmosfere sospese e i ritmi sconnessi del compositore francese, rivivono anche nelle prime sperimentazioni, Accordi, sottotitolo: Sensi e fantasmi di una adolescente.
Si tratta di una raccolta figlia del melodramma, ricca di citazioni tratte dai libretti. Sette poesie dedicate a sette strumenti, tentano di restituire attraverso la semanticità delle parole, la suggestione della musica. Progetto ambizioso, che lo stesso poeta definirà, molti anni più tardi, una “ingenua pretesa”. Per Maria Luisa Assante però si tratta di un esercizio, di un gioco con un Montale en travesti (“fantasmi di una adolescente”), ma soprattutto gli Accordi sono il preludio allo spettacolo della vita, “…a quella vera vita sempre più spoglia di illusioni protagonista dei versi degli Ossi”.
La ninna nanna dell’ottimismo non contagia la poesia di Montale, con la sua opera sparisce il poetico sentimentale dell’Ottocento. Innumerevoli sono gli spunti di riflessione che l’autrice dissemina nel suo saggio. Tornano alla mente i versi di Caproni: “C’è un Montale per tutti, ciascuno ha il suo Montale ritagliato a misura, vale quello che vale, secondo mestiere e statura”. Così ogni lettore potrà scegliere, tra le pagine del volume, il tema a lui più congeniale.
Dopo i primi due capitoli dedicati alle raccolte celebri, c’è un intermezzo rivolto al “secondo mestiere” del poeta, quello di critico musicale. Nei pezzi che scrive per il Corriere della Sera, dal 1948 al 1973, si trovano aneddoti e pensieri che potranno far felice sia l’appassionato che l’esperto.
A proposito del libretto: “solo la parola poco poetica sopporta di essere l’attaccapanni di una successiva poesia”. Karajan, “leopardo del podio”, e Toscanini, “uomo-musico”, “che usò la tecnica al servizio dell’interpretazione e non ne diventò servo”. Sulla regia: deludente Visconti, e geniale Margherita Wallmann, regista sconosciuta ai più, ma per il poeta “il solo regista d’oggi che parta dalla musica e si mantenga sempre dentro le esigenze musicali di una partitura”. E ancora: sulla Tebaldi e la Callas, sul pubblico “uomo dalle mille teste”, sulle grandi opere “esplosivi a scoppio ritardato”.
Montale è stato il cantore di un’epoca dimenticata, le cui sole tracce restano nelle sue liriche. Con una bella immagine, l’autrice ci ricorda che “la poesia è una bottiglia lanciata nel mare della modernità”. Così grazie ai versi del Premio Nobel, scopriamo i dimenticati dalla Storia. In Keepsake sfilano davanti ai nostri occhi, come fotogrammi color seppia, antichi personaggi del mondo dell’operetta: Fanfan la Tulipe, la Geisha, Zeffirino, i tre moschettieri, e molti altri. Il verso finale è l’emblema di un mondo scomparso: “…Venerdì sogna l’isole verdi e non danza più”. Anche noi non danziamo più, unico antidoto all’oblio è la bottiglia lanciata nel mare.
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