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Jan Fabre flussi notturni

Lino Musella: “Incarno un personaggio complesso e inafferrabile”



di Generoso di Biase


Dal 18 al 20 marzo approda al Sannazaro, dopo una tournée che ha avuto inizio nel 2019, The night writer. Giornale notturno. Autore e regista, il poliedrico e complesso Jan Fabre. In scena, ad impersonare l’autore che fa piena confessione di sé, il napoletano Lino Musella, per il quale i testi sono stati appositamente tradotti per la prima volta in italiano. L’artista fiammingo raccoglie per il pubblico una serie di frammenti di articoli di un giornale notturno, attraverso i quali e grazie al suo alter ego sul palcoscenico, espone le proprie riflessioni sugli argomenti più disparati che spaziano dalla propria intimità alla propria visione dell’Arte.

Musella, sa o si è chiesto, al di là dell’ormai conclamato talento, il perché sia stato scelto per questa interpretazione?

“Jan Fabre aveva intenzione di fare questo spettacolo in Italia e Aldo Grompone con cui ha prodotto diversi suoi lavori mi ha proposto come attore. Mi diverte dire che sono stato tecnicamente raccomandato, ma in senso buono perché Fabre si è sempre fidato molto dei suoi collaboratori e in questo caso di Grompone nell’individuare un interprete giusto per questo progetto”.

Ritiene che Fabre sia riuscito a portare sulla scena il proprio intimo o il personaggio ingombrante che si affaccia in maniera più o meno prepotente nei testi?

“Quando un artista affronta il racconto di un pezzo della sua vita e lo rappresenta ponendosi dall’esterno avvengono entrambe le cose credo. Da una parte, trattandosi di vicende personali c’è la necessità di rendere l’opera oggettiva e di controllarla, ma dall’altra forse qualcosa sfugge o la si lascia sfuggire rivelando zone intime e pulsioni inconsce a chi le guarda e allo stesso artista. Magari anche per l’ultimo film di Paolo Sorrentino è stato così...”.

Cosa ha dato Fabre all’uomo Musella, cosa ritiene che Musella abbia dato a Fabre?

“Jan Fabre e io ci siamo dati reciprocamente le stesse cose, ognuno dalla sua prospettiva. Fiducia e coraggio. Io ho dovuto trovarli nell’incarnare un personaggio così complesso, a tratti inafferrabile, nel delineare un artista che spazia dalla scrittura al teatro, all’arte visiva. (Il tentativo di cercare il modo di restituire la sua immagine in scena mi ha tenuto sveglio per molte notti). Sapevo che si trattava di un lavoro in cui dovevo riuscire a mettere per quanto possibile da parte ogni paura. Fabre stesso non aveva altra possibilità che affidarsi all’interprete appena conosciuto, che parla una lingua diversa, che appartiene a un’altra cultura non solo teatrale, e che doveva interpretare non solo un suo spettacolo ma il suo alter ego. A volte mi viene da pensare che è stato davvero incosciente ed estremamente impavido. Si è fidato del mio istinto. E questa sua propensione è la cosa che mi ha dato più forza in assoluto e mi ha insegnato tanto. Anche per il futuro”.

Cosa significa per un attore recitare occupando da solo per 100 minuti il

palcoscenico?

“Stare in scena così a lungo da solo vuol dire attivare un dialogo vero e profondo col pubblico. Devi parlare chiaro a chi hai di fronte, ascoltare per essere ascoltato. Devi offrirti completamente, denudarti”.

Da napoletano si aspetta emozioni diverse nel recitare a Napoli da quelle vissute in altre città?

“Il pubblico napoletano è contemporaneamente il più generoso e il più esigente. Coglie a pieno ogni ironia e non ha pudore nel far sentire partecipazione e disappunto. Mi mette sempre alla prova e mi chiede ancor più verità”.


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