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"Gemito – L’arte d’ ‘o pazzo"

Debutto al Campania Teatro Festival l’8 luglio. Il regista e autore Antimo Casertano: “Ogni giorno ogni essere umano fa i conti con i propri demoni, con la parte di sé che tormenta e divora. Gemito è da considerarsi un esempio per analizzare e affrontare le dinamiche che portano al conflitto con se stessi”



di Andrea Fiorillo

Giovedì 8 luglio debutta nell’ambito del Campania Teatro Festival, diretto da Ruggero Cappuccio e organizzato dalla Fondazione Campania dei Festival, guidata da Alessandro Barbano, nella sezione Osservatorio, “Gemito – L’arte d’ ‘o pazzo”, scritto e diretto da Antimo Casertano, anche interprete insieme a Daniela Ioia, Luigi Credendino e Ciro Kurush Giordano Zangaro; lo spettacolo si avvale delle musiche originali di Marco D'Acunzo e Marina Lucia; delle scene di Flaviano Barbarisi e dei costumi di Antonietta Rendina. Il lavoro teatrale, coprodotto da Compagnia Teatro Insania e Associazione Culturale NarteA, in scena al Giardino paesaggistico di porta Miano del Museo e Real Bosco di Capodimonte alle ore 22.30, racconta l’arte, la vita e le opere di Vincenzo Gemito - ancora oggi ingiustamente considerato un artista di secondo piano, ma soprattutto la sua vita ossessionata dalla ricerca maniacale della perfezione.

Antimo Casertano, da dove nasce l’idea di portare in scena Vincenzo Gemito, artista burbero e incompreso, destabilizzato e corroso tanto dal proprio talento quanto dalla inevitabile tragicità dell’esistenza?

L'idea nasce tanti anni fa, dopo la visione di una mostra delle sue opere.

Ho scoperto un artista che ignoravo. Da lì ho iniziato una ossessiva ricerca, che mi ha portato negli anni a conoscere profondamente l'uomo oltre che l'artista.

Ho scoperto un uomo dal carattere molto particolare, non facile certo da raccontare e rappresentare. Un uomo all’eccesso, che vive ogni sentimento o emozione all'ennesima potenza. Non parliamo di un pazzo, come spesso viene dipinto, ma di un essere umano che vive sempre al limite, un borderline.

Una vita segnata sin dalla nascita essendo un figlio d' 'a Madonna.

La sua arte, la sua opera non è contemplata in questo spettacolo, viene osservato e analizzato l'uomo artista, fino a farlo diventare uno specchio attraverso cui vedersi.

Gemito siamo noi, ogni creativo che fa i conti con se stesso, che si trova in crisi e non sa più rispondere alla domanda: "cosa voglio?”

Un vita complessa, perennemente al limite perché piena di tragiche fatalità… come è stata l’esperienza della scrittura per raccontare una storia così complessa e quale il focus su cui ti sei concentrato maggiormente?

Scrivere mi ha sempre affascinato, anche se non sono un drammaturgo, in quanto autore fine a se stesso, che scrive il testo per fare letteratura.

A me piace che le parole diventino essenziali, che servano all'attore e che non siano esercizio di stile o vetrina espressiva dell'autore.

Questo lavoro è iniziato durante il primo lockdown, ho iniziato a buttare giù parole, scene, immagini che avevo in mente da tempo.

Poi piano piano il testo è diventato azione scenica, è stato lavorato insieme agli attori, meravigliosi e generosi, della compagnia.

Tutto parte dal conflitto interiore, dalla paura di sentirsi fallito e deriso. Il focus centrale è quello, la paura del tradimento in tutte le sue forme: di essere tradito dalla moglie, dagli amici, dalla società, dalla sua mente. È una fuga da se stesso, una corsa verso il nulla, una lotta contro i mostri che ha dentro.

Una grande sfida per te che lo dirigi e ne sei il protagonista, insieme ad altri tre compagni di viaggio.

Dirigere e interpretare non è semplice. È una sfida con me stesso.

Sfida che nasce da una necessità. Non di megalomania, ma anzi di dover ottimizzare le risorse che si hanno a disposizione. Purtroppo, e lo dico senza vena polemica, il nostro è uno spettacolo autoprodotto, questo comporta inevitabilmente dei sacrifici, in ogni ambito. Ho dovuto abbandonare presto le vesti di "autore" ed entrare in quelle del regista per poi abbattere il regista e lavorare come attore.

Sono stato facilitato poiché in scena con me ci sono altri tre interpreti che reputo bravissimi e intelligenti, Daniela Ioia, Luigi Credendino e Ciro Zangaro.

Mi hanno aiutato in tutto e per tutto, mettendosi a servizio del progetto e dell'idea.

Ho seguito i loro consigli, che in un qualche modo mi hanno diretto verso una terra comune. Abbiamo dato grande spazio all'ascolto, ci siamo parlati e confrontati e anche scontrati, come è giusto che sia, durante le prove, ma avendo sempre chiaro l'obiettivo davanti a noi.

Ognuno ha proposto tanto, ha lavorato tanto senza mai lamentarsi della fatica o del dover cambiare e modificare radicalmente qualcosa.

È un lavoro questo molto fisico, sudato e sacrificato sin dall'inizio. Credo in un Teatro dove il corpo sia espressione drammaturgica. Lo spettacolo, infatti, non è mio, è nostro, di tutti gli interpreti sul palco e dietro le quinte.

Un valore aggiunto è stato dato dalle musiche di Marco D'acunzo e Marina Lucia, che sono un altro compagno di scena.

Parlano da sole, ci prendono per mano e ci accompagnano durante lo spettacolo.

I demoni affliggono l’anima di Gemito, così come quella della maggior parte degli artisti che fanno della propria vita un gesto estremo di bellezza. Quanto il teatro prova ad esplorarli questi demoni e, perché no, a vincerli?

Ogni giorno ogni essere umano a mio avviso, non solo gli "artisti", fa i conti con i propri demoni, con la parte di sé che tormenta e tenta di divorare dentro.

Gemito, in questo caso è solo lo spunto, la sua vicenda è da considerarsi, almeno per me, un esempio per poter analizzare e affrontare le dinamiche che portano al conflitto con se stessi.

Certo c'è anche il tentativo di voler raccontare il fascino della figura dell’artista, ma non c'è alcuna volontà oleografica. La volontà vera è quella di indagare l'esigenza che muove l'uomo e l'artista ad esprimersi, ad accettare spesso il compromesso che è in sé la morte della libertà espressiva.

Gemito, in questo è l'emblema del cultore dell’arte vero, puro, che sceglie di fare solo ciò che sente necessario. Oggi forse questa esigenza si è un po' persa?

Non so, chiediamolo al pubblico. Credo che il Teatro serva a porre domande e non a risolvere. Se anche una sola persona, dopo aver visto lo spettacolo, si interrogherà su questa cosa, per me sarà una grande vittoria.

Dopo questo debutto ci saranno altre occasioni per poter vedere lo spettacolo?

Dopo questo debutto, speriamo che il Teatro torni a esistere dal vivo come è giusto che sia, e che si torni a programmare stagioni.

Il Teatro è l'unico luogo, a mio modo di intendere, rimasto libero, dove un artista può dire liberamente una sera sul palco, in carne ed ossa, cosa pensa, e forse questa totale libertà fa paura, spaventa e va repressa? Chissà.

Non posso ancora annunciare nulla, perché nulla c'è di sicuro.

Ma farò di tutto affinché questo spettacolo, autoprodotto e autodistribuito da Compagnia Teatro Insania e Associazione Culturale NarteA, abbia vita lunga.


©RIPRODUZIONE RISERVATA





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