Franca Valeri
- proscenioweb
- 10 mag 2021
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 12 mag 2021
La bella copia della vita
di Franca Valeri

Maggio 2020
Cosa è successo al teatro? È stato sostanzialmente lui per secoli; cambiavano le parole, le intenzioni, lo spessore, la fantasia, la faccia, ma era lui. Quel campo fatto di voce e di corpo è il teatro, la realizzazione del bisogno dell’uomo di raccontare e di raccontarsi o di ascoltare, uno dei mezzi che offre l’arte per sfuggire indenni al reality show della vita. Ora cos’è, chi è? L’allargarsi a dismisura dei mezzi di comunicazione e dunque di conoscenza, ha messo gli attori di fronte a nuove responsabilità. Non gli autori. I loro antenati sorridono, e bene o male continuano ad andare in scena…
Ci sono cose che simboleggiano i tempi non altro che per essere esistite. Ho cominciato la mia carriera in un momento favorevole alla creatività: uno stato mentale che, in definitiva, corrisponde alla vocazione. Una vocazione, la mia, che ha avuto l’incubazione degli anni di guerra; ma una vocazione non si estingue nell’attesa. Le vocazioni comunque, come tutta la frutta, devono avere una maturazione.
Sin da giovanissima sono sempre andata controcorrente, mi sono sempre impegnata a inventare qualcosa di diverso, di strano, inusuale, insomma qualcosa che non fosse già visto e noioso ed è con questo stato d’animo che ho buttato le mie sementi nel suggestivo campo di quell’arte che si ascolta e si vede. Lungi da me chiamarla ‘lo spettacolo’, che è ormai nel concetto popolare, e soprattutto mediatico, un’accozzaglia di pretesti di divertimento senza una qualsiasi legge morale o estetica.
Nel mio lavoro da attrice mi son trovata talvolta a rispettare le parole degli altri, più spesso a scrivere le mie. Pronunciare, rendere materia viva le parole di un autore, è certamente un lavoro paragonabile a quello dell’orafo, ma molte incertezze lo assediano. La prima ritengo che sia la scelta o comunque l’assegnazione del ruolo. È certo che un attore non può fare tutte le parti, è una scelta affidata, ancor più che al fisico e all’età, alla cultura, sua o di chi lo dirige: occorre saper entrare in un altro tempo, non necessariamente in senso cronologico. L’attore poi, preso da tutte le ambasce della recita, non è sempre conscio di questa responsabilità. Le parole di un testo teatrale non hanno il destino di restare a riposo nelle pagine, rivelano in partenza l’inquietudine di appartenere a una voce. Si affollano per essere scelte, ma non è per tutte poter salire su un palcoscenico. Al teatro servono delle parole precise, ognuna deve guidare all’illusione che tutte insieme rappresenteranno. Il rapporto parola-pensiero nel teatro è rigoroso.
Nel brusio di un ristorante, nello schiamazzo di un cortile, nella violenza di un litigio, le parole volano insensate. Nel breve spazio temporale di un testo teatrale nessuna deve essere inutile. A conoscenza, come sono, del lavoro dell’autore teatrale, conscio che destino delle parole che anneriscono le sue pagine è quello di essere dette, la scelta, oserei dire, è golosa. Mi chiedono spesso come si sopporta la ripetizione di uno spettacolo per giorni, mesi, anche anni. È proprio nel progressivo approfondimento di quelle parole che riposa la nostra coscienza di doverle dire ai nostri alunni-spettatori. Anche noi abbiamo i nostri alunni. Ma insegniamo a tradimento. Erano venuti solo per distrarsi ma si sa, il teatro è veramente una scuola di vita. In questo momento della vita il mio rapporto personale col teatro, è un rapporto di felice convivenza.
Niente e nessuno mi manca di più quando lui non fa parte delle mie giornate. Qualche volta, molto raramente, sogno di andare in scena senza sapere la parte. Improvviso, sudando, davanti a una platea attonita. Che stupida. In scena non si deve improvvisare. È un incubo spaventoso, peggio ancora di quando sogno di aver perso il cane (al risveglio mi ripasso uno sketch per tranquillizzarmi). Mi sono però spesso chiesta: ora cos’è, chi è? Perché da tempo immemorabile l’uomo l’ha inventato, reinventato, vi ha costruito le sue case, i suoi monili, gli ha dato le sue voci, e soprattutto il suo pensiero? Perché il teatro è la bella copia della vita. Il male, lì, è più punito, il bene è più premiato, il vizio è deriso, l’amore è eterno, la morte è finta.
Gli infiniti autori teatrali, a questo punto, mi potrebbero anche picchiare, se non fosse che è soltanto la mia opinione.
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