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Euripide attuale? No, contemporaneo."

Lavia rilegge la tragedia greca portandola nel XXI secolo



di Anita Curci

“Medea di Euripide è un testo sconvolgente, di una bellezza e di una contemporaneità commoventi”, a dirlo è Gabriele Lavia, regista dell’opera che, dopo l’anteprima all’Estate fiesolana, approda al Teatro Nazionale di Napoli dal 17 al 28 febbraio 2016. Un mito della tragedia greca, Medea (qui interpretata da Federica Di Martino), forse il più celebre, drammatico e complesso, sullo sfondo di una rilettura nuova dove a emergere è la modernità della sua potenza passionale e devastatrice. Una straniera in terra di Corinto, che per vendetta arriva a sacrificare i propri figli pur di non lasciare nulla al marito Giasone (impersonato da Daniele Pecci), intorno al quale crea desolazione e dolore.

Lavia, perché tanti autori nel corso dei secoli si sono lasciati affascinare da un personaggio così negativo e malvagio come Medea? E anche lei…

“Medea commette un’azione che la mette fuori dal consesso umano. Un’azione, quella di uccidere i propri figli per vendetta, in qualche modo latente in ogni uomo. Eppure, questo evento tragico, guardato dallo spettatore ha la possibilità di purificare l’anima, e predisporre a una catarsi collettiva. Il fascino di cui lei parla deriva dalla catarsi del dolore”.

In che modo ha interpretato Medea?

“Parliamo di un capolavoro assoluto, che tira dentro e non si lascia svelare. Nessun regista può interpretarlo. La verità è che lei ha interpretato me. Lei mi ha piegato, mi ha portato a realizzare l’allestimento che vedrete”.

Quali scelte di regia ha fatto?

“Ho dato alla storia un’ambientazione contemporanea. Ho traghettato Medea dal V secolo avanti Cristo ad oggi, ho seguito quel procedimento di traslazione e di traduzione-tradizione che rende contemporanea un’opera arcaica. Non credo si possa fare uno spettacolo andando a ritroso nel quinto secolo e rimanendo là. Bisogna andarci per poi tornare ai nostri giorni”.

Come saranno vestiti gli attori?

“In modo normale. Come noi. Non è il costume a determinare il valore di un allestimento…”.

Altri cambiamenti?

“Ho eliminato tutti gli dei dalla scena per l’impossibilità di rappresentare il concetto di Dio, che per i greci era assolutamente diverso da quello dei cristiani. Noi abbiamo un solo Dio e sta in cielo, i greci ne hanno un’infinità e vivono tra gli uomini”.

Dunque, ha reso Medea attuale?

“La tragedia greca, come l’arte, non è mai attuale. Può essere soltanto contemporanea. Si tratta di due concetti diversi. Io non metto in scena la moglie di un uomo politico di oggi. Questa certo sarebbe attualità. Non porto sul palcoscenico una first lady che ammazza i figli. Ma è Medea che dal quinto secolo si rende contemporanea dentro l’attrice che la interpreta. È tutta un’altra storia.

Il teatro è una cosa difficilissima, quasi impossibile da fare. O meglio, che si può fare… ma quasi sempre male. L’uomo si chiama errante per questa ragione. Deve errare… La Terra che egli percorre è il territorio dell’errante. Io al momento erro facendo la mia regia. Qualche altro errerà mentre pratica il suo mestiere, lei lo farà scrivendo questo articolo… Ognuno di noi pratica l’errantato”.

Medea è una coproduzione tra il Mercadante di Napoli e il Teatro della Pergola di Firenze. Due Teatri Nazionali. Come vede la riforma della prosa?

“Hanno emanato un regolamento dove bisogna fare teatro ma non lo si può recitare. La riforma sarà partita pure con buone intenzioni ma nella sostanza non funziona. Non si è tenuto conto che il teatro è fatto da attori e da spettatori. Prima di pensare a qualunque normativa, il Ministero avrebbe dovuto chiedersi: cosa è il teatro? Chi lo fa? Il palcoscenico è un luogo dove l’uomo rappresenta se stesso, una specie di specchio in cui ci si può riflettere. E poiché è innanzitutto abitato da attori, ha bisogno di organizzazione. Il decreto che si occupa di questa organizzazione al momento vieta agli attori di recitare perché tra i vari veti c’è anche quello che quasi impedisce ai Teatri Nazionali, quelli con più possibilità di allestire spettacoli con un numero maggiore di interpreti, di andare in tournée. Questo uccide teatro, attori e pubblico.

Medea, ad esempio, potrebbe girare l’Italia e non può. Per legge, però, deve prevedere un determinato numero di recite. Questo non aiuta la prosa, la deprime. Si è parlato di algoritmi, schemi matematici per distribuire finanziamenti, scegliere i migliori e i peggiori… E’ come fare sesso guardando un manuale. Potrebbe mai funzionare? Il teatro sfugge alle formule. E’ un’altra cosa.

La perversione più grande è stata quella di aver applicato modifiche alla legge senza conoscere il mondo dello spettacolo, senza aver sentito prima gli operatori del settore. L’unica speranza risiede in una eventuale correzione della Riforma”. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


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