Carolina Rosi: “La potenza del testo vince per la sua collocabilità nel tempo”
di Giuseppe Giorgio
Capace ancora di brillare di luce propria a novant’anni esatti dal debutto al Teatro Nuovo di Napoli, la commedia di Eduardo De Filippo Ditegli sempre di sì, anche nella ripresa prodotta dalla Elledieffe con la Compagnia diretta da Carolina Rosi e la regia di Roberto Andò, dimostra la vocazione dell’autore per il tema della follia. Presentato con la stessa Rosi nei panni di Teresa Murri vedova Lo Giudice e Gianfelice Imparato in quelli del fratello Michele, il testo evidenzia come, secondo la visione eduardiana, l’eccessiva coerenza di fronte alle persone può persino diventare sinonimo di follia. Ed è con queste premesse e con la partecipazione degli altri attori, Edoardo Sorgente, Massimo De Matteo, Federica Altamura, Andrea Cioffi, Nicola Di Pinto, Paola Fulciniti Viola Forestiero, Vincenzo D’Amato, Gianni Cannavacciuolo e Boris De Paola che la commedia conferma la sua capacità di passare dalla farsa al grottesco, così come dal vero al falso.
In programma al Verdi di Salerno a febbraio dal 10 al 13 e al Partenio di Avellino il 19 e 20 marzo, la rappresentazione porta tra il pubblico l’eterna parabola della verità e della menzogna. E a confermarlo è Carolina Rosi, la quale parla pure del clamore creato tra Cinema e Televisione sulla famiglia De Filippo.
“L’attenzione mediatica sui De Filippo – dichiara l’attrice – è solo frutto di una serie di coincidenze. Un sincronismo casuale che ha visto concretizzarsi insieme, dopo un naturale periodo di incubazione, dei progetti partiti diverso tempo fa.
Il film di Sergio Rubini sui De Filippo, ad esempio, è stato pensato addirittura quando Luca era ancora vivo. Così come per il film di Martone progettato diversi anni or sono. Si è trattato solo di concomitanze alle quali, infine, si sono pure sommate le commedie di Eduardo per la TV con la regia di De Angelis”.
Carolina Rosi, con la pandemia che ancora fa sentire il suo fiato sul collo cosa può dirci della ripresa in teatro?
“Sto vivendo momenti di gioia. Mai dopo l’arrivo del Covid ci potevamo aspettare tanti ‘tutto esaurito’ di fila. Anche al Nord il successo di pubblico conferma la potenza di questa commedia, sia per la sua collocabilità nel tempo sia per l’universalità. Un lavoro che pone al centro dell’attenzione la fragilità di ognuno di noi e i disturbi psicologici con una comicità pronta a divertire, ma anche a fare riflettere. Devo ringraziare gli attori a partire da Gianfelice Imparato nei panni del protagonista Murri. Ancora devo constatare come con la lunga serie di sold out, persino a Bergamo dove il Covid si è fatto particolarmente sentire e nelle province rispetto alle grandi città, il teatro dal vivo la stia spuntando sul cinema”.
Ci può parlare del suo personaggio Teresa Lo Giudice?
“Si tratta di una sorella che a un certo punto decide di sacrificarsi per un fratello malato di mente. Teresa è il personaggio meno ironico di tutta la messinscena. Decidendo di restare accanto al fratello fino al suo ritorno in manicomio, rappresenta l’ago della bilancia tra il tragico e il comico”.
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