L’artista fiorentino riduce all’osso Pirandello in un gioco di finzione e follia
di Anita Curci
Per la terza volta Carlo Cecchi adatta e dirige un titolo di Luigi Pirandello. La prima, nel ‘76, con L’uomo, la bestia e la virtù; nel 2000 con Sei personaggi in cerca d’autore; stavolta con Enrico IV, spettacolo prodotto da Marche Teatro, dal 23 febbraio al 3 marzo 2019 al Mercadante di Napoli, con Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò.
La storia è quella di un gentiluomo che cade da cavallo in una sfilata in costume e si risveglia nei panni di Enrico IV, convinto di essere l’Imperatore di Franconia. Si susseguono anni di menzogne con parenti e amici che lo assecondano, rinnovando la sua pazzia.
Tutto cambia quando l’uomo ritrova la ragione e si rende conto degli intrighi segreti che avevano provocato l’incidente dodici anni prima. Era stato il barone Belcredi a disarcionarlo perché anch’egli innamorato della marchesa Matilde. “Ho modernizzato il testo, l’ho tagliato – spiega Cecchi – facendolo diventare corale, collettivo. I monologhi sono ridotti in modo estremo, compresi quelli dell’imperatore, per poter dare spazio e peso agli altri personaggi”.
Cecchi, nelle vesti del protagonista, elimina anche la causa clinica presente nelle pagine di Pirandello: la commozione cerebrale qui non c’è. Almeno non è quella a rendere folle Enrico IV. “Quando si sveglia dopo l’incidente – continua l’artista fiorentino – l’uomo osserva il mondo che gli orbita intorno e si accorge di non voler più farne parte. Allora si finge folle e continua a recitare il personaggio che interpretava durante la cavalcata. Continua con questa recita che, al principio, è una tragedia, ma quando l’identificazione si consolida, la tragedia si fa farsa”.
Attraverso la finzione della follia di Enrico IV, Cecchi centra il tema del suo spettacolo, che si identifica con il concetto: “il teatro nel teatro e il teatro del teatro”.
“La prima scena, quella dei consiglieri, catapulta all’istante nella rappresentazione: si tratta, infatti, di un provino che i tre fanno al nuovo arrivato. Si gioca fra Pirandello e l’improvvisazione, ma resto in quei limiti che non la conducano alle maniere arbitrarie delle cosiddette attualizzazioni”. Dunque, copione tagliato e modificato più volte durante le prove: “Un vero work in progress, che per gli attori non è stato facile”.
Lo spettacolo, alla fine, è un atto unico e non i canonici tre. Durerà non più di un’ora e quaranta. “Ho cercato di infondere in Pirandello un linguaggio da teatro, più contemporaneo, perché credo sia giusto ridare nuova vita a un classico”.
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