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"Calà - L’ultimo Filo" di Marco Ciconte e Giusy Mellace

Mallace: Delirio convulso di un’atmosfera appannata, onirica, carica di voci nell’attesa dell’ignoto



di Andrea Fiorillo

L’Associazione ArteA e ScenarioSuD presentano al Campania Teatro Festival, il 14 giugno 2021, un testo inedito, che fa il suo debutto nella cornice dello splendido Bosco di Capodimonte a Napoli.

Con la regia di Franco Eco, e la partecipazione degli attori Erica Bianco, Giovanni Cordì e Francesca Flotta, il nuovo testo, Calà - L’ultimo Filo, è scritto a quattro mani da Marco Ciconte e Giusy Mellace.

Giusy Mallace, Calà rappresentazione umana di una terra bellissima e indomita, in catene, ma ancora pronta al sacrificio. Da dove arriva questa figura mitologica che ci riporta nella Magna Grecia?

L’idea nasce dalla necessità di scrivere qualcosa di diverso sulla Calabria, la nostra terra, luogo complesso, ma che chiaramente non può essere legato solo ai racconti di criminalità. E da lì sono partita alla ricerca di leggende sul nostro territorio e insieme a Marco Ciconte ci siamo ritrovati a che fare con la materia del Mito, strettamente connesso a Tauro e quindi al Minotauro, e da lì è partito il nostro Tauromonio, una condanna a cui la Calabria è sottoposta, una sorta di castigo continuo.

Dall’altra parte, però, esiste sullo stesso territorio anche un lembo di terra attraversato dal Rito della Madonna Nera, in cui la Fede diventa alternativa al castigo stesso, e la processione unico strumento utile per risollevarci dalle pene meritate, perché incapaci di riuscire a combattere il male.

Calà quindi, come diminutivo della Calabria stessa, diventa la vera carnefice di questo processo, mentre Tauromonio, nel racconto, rappresenta il male. A ciò ci affianca il figlio di Calà, che tende a maltrattare la madre-terra, che solo attraverso il Voto alla Madonna Nera potrà uscire da questo vortice di incomprensioni.

Ed è così che succede ogni anno nel mese mariano, quando di notte, si partecipa ad una processione di dodici kilometri, a piedi scalzi, e si chiede la remissione dei propri peccati. La lunga notte della processione, rappresenta il viaggio della salvezza, del perdono, del riscatto sociale. Delirio convulso di un’atmosfera appannata, onirica, carica di voci nell’attesa dell’ignoto, che si presenta come un beffardo teatrino che inganna con i suoi fili l’amaro destino.

Una ritualità cattolica che affonda però nel mito le proprie radici e da li siamo partiti per la scrittura del nostro testo, dove anche la lingua non è unica, ma nei dialetti si racconta la musicalità di questi esseri che cercano di risollevarsi. I diversi linguaggi, sottolineano il tempo passato che si rivolgono al futuro, con termini in disuso ma sempre carichi di forti emozioni, che rimandano ad una mescolanza di cadenze che legano e tramandano la storia come in un quadro che si eleva con pennellate di chiaro scuro, per essere osservato e raccontato.

Quindi il testo è appunto la volontà di un riscatto, di un miracolo individuale e collettivo.

Una Calabria diversa che affonda il mito nella Magna Grecia, dove però i fili di cui raccontate nel testo sono ostacoli, sortilegi, mentre l’ultimo è quello legato alla salvezza possibile attraverso la Madonna Nera. Una ritualità che è religione, ma chiaramente è Teatro. Quanto lo spettacolo diventa esso stesso il Voto di Riscatto?

Appieno, perché la ritualità che si ripete in eterno consente un riscatto continuo. Il teatro è rito, strumento attraverso il quale ogni partecipante sarà parte di quel momento di rinascita che avrà bisogno di essere in eterno.

Scrivete che Calà diventa un inno alla parola come denuncia della libertà negata fatta di legalità e giustizia.

Nel testo Calà accusa il figlio di essere muto infatti, e lui stesso accuserà la madre-terra di non avere la capacità di parlare e quindi denunciare. Ecco che l’omertà del silenzio si fa complice del male, e sarà proprio Tauromonio, il male stesso, ad esortare Calà a superare il suo stesso silenzio. Una cruda pagina impietosa che tiene legata Calà alle sue trame, peccatrice di leggerezza, fatta di una vita dissoluta ricamata dalle vecchie streghe, che l’hanno condannata per la sua bellezza.

Quel vuoto di parola che sarà rotto dall’ultimo filo da cui nascerà un linguaggio di rinascita.

Lei è anche molto impegnata per la tutela dei diritti delle donne e questa voce nuova che nasce dalla rottura dell’ultimo filo è una voce femminile. Quanto questo è per un’urgenza contemporanea?

È fondamentale ricordare quanto la forza generatrice delle donne sia qualcosa di cui il mondo non può fare a meno, e così anche per le donne calabresi, spesso messe all’angolo, ma oggi finalmente consapevoli del loro ruolo. È tanta la fatica che si fa ogni giorno, anche nel teatro, perché sembra quasi che in Calabria le donne siano destinate solo ad altro. Quindi Calà parla anche a loro, ad una scelta diversa, ad un racconto che non sia predeterminato, ma che possa esprimersi in libertà.

Calà che incontra Partenope, due figure che lottano per una libertà necessaria, oggi quanto ieri. Un inno al coraggio di lottare appunto, un’esortazione alla parola come denuncia della libertà negata fatta di legalità e giustizia.


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