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Artaud e il suo doppio


di Antonio Tedesco

Il teatro e il suo doppio è uno dei testi chiave della letteratura teatrale del Novecento. Che molto ha influito, nel bene e nel male, sulle tante pratiche di teatro sperimentale o di ricerca che nel corso del secolo si sono sviluppate. Non sempre, però, interpretando in maniera corretta il pensiero dell’autore. L’opera di Artaud, intesa in senso generale, non solo relativamente a questo testo, ma alla totalità dei suoi scritti, alle sue performance e, in definitiva, alla sua vita stessa, è talmente acuta e complessa, è talmente “oltre” il pensiero comune, che ha dato inevitabilmente vita a molteplici fraintendimenti. Per questo motivo, a cinquant’anni dalla prima traduzione italiana del testo pubblicata da Einaudi, avvenuta a sua volta a trent’anni dalla originale pubblicazione francese, Giuseppe Rocca, critico, studioso e per molti anni docente di Storia dello Spettacolo presso L’Accademia Nazionale di Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, ha sentito la necessità di tornare sul testo originale e di ritradurlo (Antonin Artaud Il teatro e il suo doppio – A cura di Giuseppe Rocca – Postfazione di Giuliano Zincone –Dino Audino Editore - pp. 150, € 15,00).

Principalmente per liberarlo dalle scorie che nel corso di questi decenni su quel testo si erano accumulate. Per “riscriverlo” da una distanza diversa e maggiormente obiettiva, ora che gli effetti che ha avuto sull’esperienza teatrale di questo ampio scorcio di secolo, sono ben visibili.

Una nuova traduzione, dunque, equivale in questo caso ad una riconsiderazione del pensiero e dell’opera di Artaud. Ad una sua ricollocazione nel contesto artistico e culturale più ampio che egli aveva esplorato. Ad una rielaborazione della sua idea di teatro che tutto sommato ha poco a che fare con quello che noi ancora oggi definiamo “teatro”. Dove per Artaud il teatro, appunto, coincideva con una esperienza profondamente personale. Lontana da ogni idea di spettacolarizzazione o intrattenimento. Teso a sviscerare senza remore (“Il teatro della crudeltà”, appunto) la propria vita e la propria anima. Trasformando l’esperienza individuale in un’esperienza universale. Una visione totalizzante che supera il concetto di rappresentazione e si immerge nell’essenza della vita stessa, dove finanche il respiro (o meglio, “la scienza del respiro”), in quanto elemento vitale primario, si fa teatro. Il libro è arricchito da una importante e densa postfazione di Giuliano Zincone, dove si riporta il testo del suo intervento al primo convegno italiano dedicato all’artista francese, tenutosi a Parma nel 1966, e da una nota di Enzo Moscato, forse uno dei pochi “artaudiani” veri e puri che il nostro teatro può oggi vantare.


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