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Alcesti. Ciò che resta di un giorno di lutto

Il testo di Euripide sconvolto, asciugato ai raggi del tempo. “Porto i protagonisti all’interno della perversa scatola del dramma borghese”



Francesca Borriero

di Fabio Pisano


Sull’Alcesti s’è detto tutto e il contrario di tutto. Già dalla collocazione di genere: è una tragedia? Un dramma satiresco? Un dramma (poi definito in seguito, ad hoc) “prosatiresco”? Questa indefinitezza di genere crea una crepa che consente di infilarsi con una certa libertà all’interno del capolavoro di Euripide, mantenendo però una coerenza rispetto a quelli che sono i cardini intorno cui ruota il testo, i punti chiave, i punti luce e i punti di buio della “fabula”.

La sinossi originale racconta che Apollo, schiavo per un anno presso Admeto, è riuscito ad ottenere dalle Moire che l’amico e padrone potesse sfuggire alla morte, a condizione che qualcuno si sacrificasse per lui. Nessuno, tuttavia, era disposto a farlo, né gli amici, né gli anziani genitori: solo l’amata sposa Alcesti si era detta pronta. Alcesti prima di morire appare sulla scena per pronunciare le sue ultime parole e facendosi promettere dal marito fedeltà eterna. Eracle, intento in una delle dodici fatiche, chiede ospitalità ad Admeto che lo accoglie con generosità, ma racconta all’eroe che è morta una donna che viveva nella casa. Al funerale sopraggiunge Ferete, padre di Admeto, per portare un dono funebre: il figlio lo respinge, accusandolo di essere il colpevole della morte della moglie, ma si sente accusare di essere solo un codardo. Eracle viene a conoscenza della reale identità della donna morta e decide di andare nell’Ade per riportarla in vita. Dopo un elogio di Admeto ad Alcesti, Eracle ritorna con una donna velata, fingendo di averla “vinta” al primo premio dei giochi pubblici, per mettere alla prova la sua fedeltà. Admeto dopo qualche resistenza, acconsente a guardarla. Tolto il velo, si scopre che la donna è Alcesti, che però per tre giorni non potrà parlare, come per ogni anima di ritorno dagli Inferi. La riscrittura ha vissuto nel mezzo dei pensieri, rispettivamente, di Aristotele e della sua “Poetika”, circa la tragedia come incidente la scena, come “quanto di più alto esista”, e Hegel e la sua concezione del dramma in una accezione moderna e legata alla scena. Il dramma non può vivere senza scena, la scena ha intrinseca dentro sé, il dramma.

Il testo di Euripide viene totalmente sconvolto, asciugando ai raggi del tempo i rapporti epici tra i protagonisti, portando all’interno della perversa scatola del dramma borghese ciò che resta di un giorno di lutto, ciò che resta della vita, nei suoi aspetti dolorosi e in quelli lieti, concomitanti, con fine positivo. O meno. La riscrittura, che determina una lingua nuova la cui cornice è l’originale coro antico, non appartiene e forse troppo appartiene ai pensieri di un marito, una moglie, un padre, un amico, rendendo tutto un tiepido A.D.E., potenziato da uno splendido lavoro musicale dal vivo che rappresenta la sintesi tra l’antica musica realizzata a partire dal sistema musicale greco e la più moderna e perturbante sonorità basta su un approccio elettroacustico.

Dal 24 al 27 marzo ADE A.lcesti D.i E.uripide scritto e diretto da Fabio Pisano, con Francesca Borriero, Roberto Ingenito, Raffaele Ausiello. Al Nuovo di Napoli.


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Fabio Pisano

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