Al Teatro Nuovo dal 24 al 7 Febbraio
Servizio di Rita Felerico
Napoli - È stato un incontro davvero emozionante al Nuovo giovedì 24 febbraio fra il pubblico e due grandi interpreti, Carlo Cecchi e Angelica Ippolito, che hanno donato con la loro ‘sapienza’ attoriale di interpreti e registi due pagine di teatro eduardiano non spesso rappresentate. L’atmosfera che si è creata, vagamente nostalgica, fedele allo spirito del grande drammaturgo partenopeo, ha mantenuto la vena graffiante e sottile che attraversa i dialoghi e i toni delle parole, quella voluta da Eduardo, grazie alla limpida regia di Carlo Cecchi e alla sensibilità dei protagonisti. Anche se scritti a vari anni di distanza, i testi sembrano legarsi perfettamente, armonizzarsi in un unico spettacolo per via di quella vena di realistica amarezza che attraversa il dramma di Lucia e Rocco, protagonisti di Dolore sotto chiave, di Sik Sik e Giorgetta, ombre di un luminoso passato di successi in Sik Sik l’artefice magico.
Dolore sotto chiave, pensato nel 1958 come radiodramma – protagonisti Eduardo e Titina – viene rappresentato a teatro due volte, con Regina Bianchi e Franco Parenti nel 1964 per la riapertura del Teatro San Ferdinando di Napoli, e nel 1980 con Luca De Filippo e Angelica Ippolito. Il tema della morte - presente con diverse sfaccettature nei testi di Eduardo – è qui pretesto per portare alla luce sentimenti repressi e mal vissuti, spesso superficializzati da comportamenti accettati artificiosamente nelle relazioni umane, sia familiari che sociali. Nel paradosso delle situazioni che si creano per la determinata volontà di Lucia di nascondere la morte della moglie Elena al fratello Rocco, spunta la finzione dei legami amorosi, sia esso quello fraterno o quello fra marito e moglie, la finzione compassionevole dei vicini che desiderano condividere il dolore di una perdita, la finzione della durevole capacità dei sentimenti umani di essere forti nel tempo. Brava Angelica Ippolito ad esprimere con convinzione i perché delle scelte di Lucia, un personaggio che, si legge dai suoi passi sul palcoscenico, conosce a memoria e che sembra appartenergli aldilà del copione. Bravo Vincenzo Ferrera, uomo spiazzato nei sentimenti e nella ragionevolezza delle azioni dalla improvvisa verità / finta che vive e ha vissuto per colpa della ‘bugiarda’ sorella. La morte – sembra dire Eduardo – non deve essere repressa o ostacolata nella sua naturale apparizione; è e quando c’è la si accetta, come è giusto fare. Carlo Cecchi, qui uno dei vicini, il prof. Ricciuti, persona da tutti stimata, ha saputo con poche, incisive pennellate di regia, colorare e dare corpo a parole e figure teatrali che restano nel nostro immaginario, come personaggi shakespeariani, autore del quale Carlo Cecchi è profondo conoscitore. E si potrebbe qui aprire il dialogo su una serie di parallelismi fra Shakespeare e Eduardo, sull’uso di una struttura sintattica che descrive e fa trasparire l’interiorità e il suo riflesso in ciò che accade, con tutte le illusioni e i ‘disguidi’ a cui si va incontro.
Altra emozionalità ci propone Sik Sik l’artefice magico. Afferma Carlo Cecchi: “Come in un film di Chaplin, è un testo immediato, comprensibile da chiunque e nello stesso tempo raffinatissimo. L’uso che Eduardo fa del napoletano e il rapporto tra il napoletano e l’italiano trova qui l’equilibrio di una forma perfetta, quella, appunto, di un capolavoro”. Con fluidità e padronanza, Cecchi ha dato vita nei pochi minuti di rappresentazione, ad una piena immedesimazione fra lui e lo squattrinato illusionista Sik Sik, così come voleva l’autore del testo, datato 1929, andato perduto dalle registrazioni magnetiche della Rai e fortunosamente recuperato dalle registrazioni con magnetofono di un appassionato telespettatore, il futuro prof. Lello Mazzacane.
Giorgetta, sua moglie e “sicc-sicc”, secco secco in dialetto napoletano, incarnano nella loro tragica comicità, la magia, la finzione del teatro e quanto questa possa interpretare il vero senso della realtà. La disastrosa esibizione del ‘mago’ – per una serie di vicissitudini legate alla sparizione di Nicola, sua fidata spalla (interpretato da Vincenzo Ferrera) e al recupero fortunoso di un sostituto (Dario Iubatti) è il segno di una decadenza e di uno sgretolamento che appartiene alla vita e al gioco della vita, presa e compresa in un destino ‘ineluttabile’, del quale bisogna saper ridere e prenderne possesso.
Atto unico, Sik Sik fu inserito come sketch all'interno dello spettacolo di rivista Pulcinella principe in sogno che Eduardo presentò assieme ai due fratelli nella Compagnia di Riviste Molinari al Teatro Nuovo di Napoli. Fu subito successo e replicato circa 500 volte; ciò che ancora fa emozionare è il sapere che fu interpretato da Eduardo prima che lui lasciasse le scene, a Napoli – nel 1979 – e nel 1980 accanto al figlio Luca al Teatro Manzoni di Milano. Una breve pièce a cui Eduardo era legato, per il richiamo al mondo dei così detti guitti, al mondo dei più diseredati e a quello di coloro che ‘guardano’, sorridono senza intervenire, ma che - si spera- comprendano: “Si ride fino alle lacrime appunto, poiché la comicità che declina il più creativo umorismo, come insegnava Bergson, è la via che conduce a noi stessi, è una delle chiavi più efficaci per la consapevolezza di sé e del mondo che questo sé circonda”.
Dolore sotto chiave
scene Sergio Tramonti
costumi Nanà Cecchi
luci Camilla Piccioni
personaggi e interpreti
Rocco Capasso Vincenzo Ferrera
Lucia Capasso Angelica Ippolito
La Signora Paola Dario Iubatti
Il Professor Ricciuti Carlo Cecchi
Il Fotografo Musella Remo Stella
Lo Scultore Tremoli Marco Trotta
Sik Sik l’artefice magico
scene e costumi Titina Maselli
realizzazione scene e costumi Barbara Bessi
luci Camilla Piccioni
musica Sandro Gorli
personaggi e interpreti
Sik Sik Carlo Cecchi
Giorgetta Angelica Ippolito
Rafele Dario Iubatti
Nicola Vincenzo Ferrera
produzione Marche Teatro, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Elledieffe
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