Andrew Bovell al Bellini di Napoli con la regia Lisa Ferlazzo Natoli
di Rita Felerico
Andrew Bovell nato a Perth in Australia nel 1962, oltre ad essere uno sceneggiatore cinematografico di successo, è fra i giovani drammaturghi più rappresentati al mondo. Da vari suoi testi e commedie sono stati tratti film come Blessed o Lantana, ma è il suo teatro ad essere stato stato premiato più volte. When the Rain Stops Falling, uscito nel 2008, vince il Queensland Premier’s Literary Award e il Victorian Premier’s Literary Award e, nel 2009, il Victorian Green Room Award, e debutta al Lincoln Center Theatre di New York nel 2010. Vincitore – tra l’altro – nel 2019 di ben tre premi UBU, “miglior nuovo testo straniero, miglior regia e migliori costumi”è molto apprezzato da un pubblico prevalentemente giovanile.
Il perché di tanto successo è forse nel ritmo del tempo che segna tutto l’arco della rappresentazione; si entra e si esce negli anni di nascita e di morte dei personaggi, definiti e descritti da un albero genealogico che incombe sulle loro vite come un destino. Padri, madri, figli si avvicendano fra le scene che si costruiscono e decostruiscono sotto gli occhi degli spettatori, presi dalla magia inquietante della pioggia incessante che accompagna le esistenze perse e ritrovate, lontane e allontanate, vicine e parallele che affollano un palcoscenico che sembra non mutare mai, sempre uguale a se stesso, come i gesti e le abitudini dei personaggi . Si vestono, si svestono e gli abiti non sembrano mutare nel trascorrere de tempo, mangiano la stessa zuppa, ripetono gli stessi perché. Sono pochi gli accadimenti che vanno a rompere i destini che appaiono uguali, accadimenti impregnati dell’oscurità dell’animo umano, impressi in una atmosfera distopica che abbraccia il racconto di generazioni, una saga familiare che dal 1959 al 2039 non sembra far altro che cogliere o aspettare di cogliere i pesci vivi che cadono dal cielo. Un diluvio universale che vuole, nella disperata ricerca delle verità , darci il senso della nostra limitatezza e dei nostri asfissianti confini umani. Un racconto epico, come lo hanno definito, che ricorda nei suoi tempi rotti e fortemente legati La Storia di Elsa Morante, la dimensione corale che in entrambi i testi si respira, la visionarietà terribilmente realistica di chi scrive, il delinearsi dei personaggi in tutta la loro piccolezza umana e nel loro aspirare ad un possibile sentimento di riscatto.
Visto al Bellini di Napoli, dove è andato in scena dal 5 al 10 aprile, mi sono chiesta il perché di un così attento interesse da parte del pubblico più giovane; probabilmente il bisogno di ritrovare se stessi e una identità in un mondo che appiattisce la loro espressività e nutre più il vuoto e l’apparenza delle cose che la loro screpolata e spesso ruvida dimensione, quella nella quale riesce difficile immedesimarsi e cercare di vedere il nostro volto. Bravi gli attori; acclamata la regia affidata a Lisa Ferlazzo Natoli. Un progetto di “lacasadargilla”, con Caterina Carpio, Marco Cavalcoli, Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Emiliano Masala, Camilla Semino Favro, Francesco Villano, sulle scene di Carlo Sala. Produzione ERT/Teatro Nazionale, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Due con il sostegno di Ambasciata d’Australia e Qantas.
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