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"Vite di Ginius" scritto, diretto e interpretato da Max Mazzotta

Al Campania Teatro Festival il viaggio di purificazione e consapevolezza che l’anima di un corpo, giunto al capolinea, intraprende in una dimensione spazio-temporale sconosciuta



Venerdì 2 luglio, nell’ambito del Campania Teatro Festival diretto da Ruggero Cappuccio e organizzato dalla Fondazione Campania dei Festival, arriva alle 22.30 in prima assoluta a Napoli, nel Giardino Paesaggistico di Porta Miano (ingresso da Porta Miano) a Capodimonte, Max Mazzotta, autore, regista e interprete di “Vite di Ginius”, uno spettacolo della compagnia cosentina Libero Teatro.

Max Mazzotta, fondatore e direttore artistico di Libero Teatro, da vent’anni attivo in Calabria con progetti nati in sinergia con l’Università della Calabria, per cui cura laboratori teatrali in collaborazione con il dipartimento di studi umanistici dell’ateneo, è allievo di un mostro sacro del teatro come Giorgio Strehler, con il quale ha lavorato all’interno delle sue ultime produzioni, ma anche volto noto per aver interpretato il ruolo di Enrico Fiabeschi nel cult cinematografico “Paz!” (2002). “Vite di Ginius” è il suo primo monologo scritto, diretto e interpretato per Libero Teatro.

Lo spettacolo è il viaggio di purificazione e consapevolezza che l’anima di Ginius, corpo morto giunto al capolinea, intraprende in una dimensione spazio-temporale sconosciuta. Come il Sommo Poeta di cui quest’anno ricorre il sette centenario dalla morte, l’anima si ritrova nella barca di Caronte, una sorta di navicella spaziale. Da qui Ginius percepisce una misteriosa voce che la aiuta ad andare oltre il tempo concepito dai mortali. Costretta a scavare dentro se stessa, l’anima di Ginius deve ricordare l’esperienza di alcune sue vite incarnate: un monito a ricordarci chi siamo stati per riconoscere chi siamo diventati davvero.

«Il ricordo è la fase più dolorosa – spiega Max Mazzotta – perché ogni vita ricordata è come se venisse vissuta in prima persona e allo stesso tempo osservata come fosse una terza persona. Lo spettacolo interseca due dimensioni del racconto e diversi stili linguistici. La dimensione soprannaturale è descritta attraverso i versi: un linguaggio poetico strutturato in canti di versi in rima alternata e canti in terzine dantesche a catena. La seconda parte utilizza un linguaggio in prosa più adatto al racconto di frammenti di vite vissute».

Lo spettacolo interseca diversi linguaggi. Corpo, suoni viscerali, musicali, e video si amalgamano sul palco senza soluzione di continuità. Il lavoro di scrittura drammaturgica viene esaltato dalla sua fusione con una lingua di per sé musicale, ritmica, onirica. Straordinaria proprio come il viaggio del protagonista nelle sue vite passate.

Sinossi

Sono quattro le reincarnazioni di Ginius nel testo, che avvengono nell’arco di mille anni. L’anima rivive di ogni vita il momento che l’ha segnata attraverso le storie di personaggi che potrebbero essersi incrociati da qualche parte nel loro cammino, tanto quanto appartengono allo stesso corpo. Storie dolorose, drammatiche, che il linguaggio di Mazzotta restituisce allo spettatore con una leggerezza pop che le fa comprendere nel loro significato più umano e universale. La prima vita ricordata è quella di Za’ Popa, anziana signora di un villaggio calabrese dell’800, la cui esistenza fu segnata in giovane età, quando per uno scherzo innocente subì la morte del suo amico Ninuzzu, ritrovandosi vigliacca spettatrice del tragico evento. La seconda reincarnazione è quella di Nanni, venditore di scarpe, nella Roma degli anni ‘60. A causa della sua codardia, lascia che Nina, la ragazzina di cui è innamorato, venga ammazzata dal fratello di lei. L’anima di Ginius viene trascinata sempre di più nel tragico, si perde nel dolore di un atto vile e senza amore, con la terza reincarnazione, ambientata ai giorni nostri: Gianni, fratello maggiore di Nino, è rinchiuso in un istituto per malati di mente in una città del nord Italia e a causa dell’odio, che entrambi nutrono l’uno verso l’altro, arriva ad uccidere il proprio fratello.

L’ultima vita ricordata è quella da cui Ginius si è appena separato all’inizio dello spettacolo. Siamo alla fine del secondo millennio, all’interno di un ipotetico e distopico futuro. Nessuna religione è ammessa, nessuna forma di misticismo e nessun dio a tutela dell’essere umano. Ginius lavora per il governo a capo di un reparto militare. Sarà proprio in questa epoca votata alla razionalità che Ginius spezzerà il suo ciclo karmico immolandosi per salvare la vita di Nina, una sovversiva appena conosciuta e da lui stesso imprigionata. Un gesto sicuro e istintivo, quello di donare la sua vita per amore, grazie al quale la sua anima potrà finalmente riscattarsi.


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