Dal 13 al 18 dicembre al Ridotto del Mercadante in scena lo spettacolo vincitore della seconda edizione del Premio Leo de Berardinis dal titolo Il tempo di una festa, appunti per una morte dolcissima da Una morte dolcissima di Simone De Beauvoir su drammaturgia e regia di Noemi Francesca
Dal 13 al 18 dicembre al Ridotto del Mercadante va in scena lo spettacolo vincitore della seconda edizione del PremioLeo de Berardinis destinato ad artisti e compagnie campane under 35. Il progetto, oggi diventato spettacolo, con
drammaturgia e regia di Noemi Francesca, è tratto da Una morte dolcissima di Simone De Beauvoir. La produzione è del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale. In scena con Noemi Francesca recita Marco Pedicini autore anche delle foto utilizzate nello spettacolo. Le scene sono di Giorgia Lauro, il disegno luci di Ciro Petrillo, il disegno sonoro di Diego Iacuz. All'allestimento ha collaborato l’Accademia di Belle Arti di Napoli, Cattedra di Scenografia del Prof. Luigi Ferrigno.
«Incontrare e attraversare la ricchezza delle parole di Una morte dolcissima di Simone De Beauvoir ha significato per me anzitutto scorgere la possibilità di un luogo o, meglio, del suo riconoscimento e della sua realizzazione», scrive Noemi Francesca nelle note. «E da questo attraversamento è nata la volontà di ritracciare questo luogo, fin dove è possibile, nel tempo che abito. Un tempo in cui il dolore (insieme alla morte) non trova più casa; è stato, per dirla con un termine che ne sottolinea il radicale sfratto, depoliticizzato. Nel desiderio di non rassegnarmi a tale rimozione ho sentito forte la necessità di interrogare altre persone, di scoprire se quella che a me sembrava una ferita evidente avesse un’eco concreta nella comunità sulla quale mi affaccio. Esiste oggi uno spazio collettivo di natura narrativa, simbolica, rituale, in grado di fornire possibili nessi di senso che rendano sopportabile l’idea della morte? Nel nostro spazio c’è un tavolo, sembra una scrivania. In cima a molti libri un diario, il racconto di una morte che aspetta di farsi spettacolo. Sulla sedia una donna, come una lamentatrice, detta il tempo di un pianto ora possibile. Squilla il telefono. Un’altra figura sbuca dal buio, ha una macchina fotografica. Sistema un faro, sposta un bicchiere. Un flash. Due. Tre. La luce si trasforma, i colori anche sembrano quelli di una festa. “È strano tutto questo Karamazov, tanto dolore e poi delle frittelle!”. Le voci che si sentono parlano di un luogo, aprono la strada al tragico, affermano la vita malgrado il dolore, suggeriscono riti possibili per superarlo, ed il gioco ad immaginarne di innumerevoli mi ha condotta qui ad eleggerne uno solo in rappresentanza di tutti gli altri, a lasciar parlare da sé l’antica parentela tra il Teatro e la Morte, tra il Teatro e quel tremito da cui siamo colpiti quando guardando una fotografia riconosciamo i nostri fantasmi».
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