Testo e regia di Jan Fabre. Lino Musella incarna con verità, poesia, commozione, ironia e intelligenza un carico di vita e di pensieri, con la stessa potenza, vitalità e bellezza, con cui
l’autore li ha trasferiti su carta
di Rita Felerico
Il ragazzo che frequentava i teatri della sua città, Napoli, come tecnico, è oggi un attore formato, versatile e professionale. Lino Musella dopo una lunga gavetta e dopo aver frequentato la scuola di Paolo Grassi a Milano, nel 2009 crea con Paolo Mazzarelli una sua compagnia e vince premi di pregio: Le Maschere, come migliore attore emergente, Premio Hystrio per la drammaturgia, Premio Enriquez e nel 2019 il Premio Ubu come miglior attore in The Night Writer – Giornale Notturno di Jan Fabre. Il copione raccoglie pagine dei diari personali dell’artista belga, scritti di teatro, riflessioni notturne, confessioni personali, pensieri sul sesso, sulla famiglia, sull’amore, un autoritratto del suo palpitante pensiero e sentimento d’artista. Scrive di notte, raccoglie il flusso dei pensieri, alla James Joice, in un diario datato ma che non ha nulla della normale successione temporale. Il testo, le scene e la regia sono a firma di Jan Fabre, le musiche di Stef Kamil Carlens, la drammaturgia di Miet Martense e Sigrid Bousset, la traduzione a cura di Franco Paris. Interessante il progetto che unisce nei giorni di programmazione il Teatro Sannazaro (dove è andato in scena lo spettacolo dal 18 al 20 marzo) al Museo e Real Bosco di Capodimonte: sconti all’ingresso per chi presenta al botteghino il biglietto del Museo dove nella sezione di arte contemporanea ci sono tre opere dell’artista fiammingo (Scarabeo stercorario sacro con ramo di alloro, 2016; Scarabeo stercorario sacro, 2016; Scarabeo stercorario sacro con riccio di pastorale, 2016) da lui donate nel 2020, dopo la mostra Jan Fabre. Oro Rosso. Sculture d’oro e corallo, disegni di sangue (30 marzo-15 settembre 2019). Fabre ritorna alla Reggia dopo Naturalia e Mirabilia (1 luglio 2017- 7 gennaio 2018) nell’ambito del ciclo di esposizioni Incontri sensibili, realizzata in collaborazione con Amici di Capodimonte onlus, un format con cui gli artisti contemporanei si confrontano con le collezioni storiche del Museo.
Tornando allo spettacolo, Lino Musella dà corpo a questo diario umano e restituisce l’irrestituibile: da grande attore incarna con verità, con poesia, con commozione, con ironia e con intelligenza un carico di vita e di pensieri, con la stessa potenza, vitalità e bellezza, con cui l’autore li ha trasferiti su carta, così scrive di lui Rodolfo Di Giammarco. Non era impresa facile interpretare i molteplici sguardi ed identità di Fabre, un visionario, passionario, ironico interprete di se stesso, artista di se stesso. L’attore si muove su una scena scarna, lineare come il tavolo su cui scrive, legge, pensa, sparso di piccoli oggetti e dietro il quale a volte si anima uno schermo.
“Ho accettato a scatola chiusa e mi sono lanciato in questa avventura, ho sentito che poteva essere una cosa bella, però poi quando ho letto il testo, dopo aver accettato, effettivamente dei dubbi mi si erano annidati rispetto a che farò e cosa non farò, anche dovuti a una sorta di ignoranza, perché su Jan Fabre ci sono moltissimi pregiudizi e moltissime ignoranze, anche di persone colte. Si riesce molto poco ad afferrare la complessità della sua figura, nonostante sia l’unico artista vivente a cui è stata dedicata una mostra al Louvre, ma viene spesso frainteso”. Il confronto, la sfida si è risolta nella scelta di dare vita ad un teatro di parola – di pasoliniana memoria - che restituisse la forza che possiedono le parole, il palcoscenico e il lavoro dell’attore. Un incontro fra attore e regista dal sapore alchemico: “Sicuramente c’è stato un fattore alchemico importante: erano troppi pochi giorni di lavoro e non ci conoscevamo. Ha funzionato perché poteva funzionare, non perché ci siamo obbligati a farlo. Quindi, questo incontro c’è stato, c’è stata anche una grande sintonia rispetto ad alcune cose, anche un lavoro duro, però davvero una grande sintonia”, confessa Musella, che si immedesima anche nei grandi dolori dell’artista, la morte del fratello, l’affetto contrastato per i genitori. Lo spettacolo ha già calcato parecchie scene, italiane ed europee, con il palcoscenico cosparso di sale marino, con quelle 4 simboliche piccole pietre conficcate a terra, con l’attore che ininterrottamente per tutta la performance, fuma, sgranocchia uva e noci e si versa da bere. Sopra al tavolo pende una piccola iconica lampadina ardente, dal sapore rinascimentale, che tanto ricorda l’uovo sopra alla Madonna della celebre Pala di Montefeltro di Piero della Francesca esposta in Brera. E infatti il monologo inizia così: «La bellezza, quando crea confusione ed è sovversiva, annuncia sempre un messaggio di riconciliazione. Ogni vera bellezza è scomoda». Per poi proseguire con il protagonista che a sorpresa canta Amarsi è una fatica, una canzone di Gianna Nannini, coinvolgendo il pubblico a cantarla in coro assieme a lui.
La magica performance si conclude con un video in bianco e nero con Jean Fabre giovanissimo, negli anni ‘70, su una piccola barca che lascia cadere in acqua una serie di parole blu che raccontano lo scorrere del linguaggio con una magnifica musica di sottofondo di Stef Kamil Carlens. Per poi infine lasciar scorrere sull’acqua un gufo, sempre blu, che, galleggiando in piedi, con il suo sguardo immobile, domina il rito appena celebrato dall’artista, si legge nelle note di scena.
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