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“Surrealismo Capitalista” di e con Pierre Campagnoli

Spettacolo interessante, invero i ragazzi in scena si impegnano, sbuffano, massimizzano

lo sforzo, spingendo il pedale scenico sul decostruttivismo simbolico, a depotenziare la

pervasività dei modelli economici che permeano le nostre vite in bilico, eppure...



Surrealismo Capitalista di e con Pierre Campagnoli

di Marco Catizone


E se le teorie economiche e lo sfruttamento del Capitale fossero solo uno spunto, ovvero uno sputo, con cui impastare, amalgamare, sigillare ed asservire il nostro spirito? Di esseri spaesati e poco-pensanti, brani masticati, figli dell’Ingranaggio Supremo, parti d’una silloge di quadri a scacchi, sbucati per puro Caos in un libro di Volponi, come mosche a fluttuare sulla lutulenza escrementizia d’un Kapitale aggrovigliatosi a ciambella (con tanto di logo registrato) sul suo palese non-sense, un

inferno tutto lustrini e pailettes, come distopia sartriana scevra da riflessi luciferini, screziata di illusoria perfezione, plastificata all’abbisogna. Pierre Campagnoli, Marco Del Pezzo e Nina Lanzi ce ne offrono un saggio ritmato al Nuovo di Napoli il 17 e 18 marzo, in minima moralia, tra singulti sincopati di realtà omni-occidentale, presi al lacciuolo in simil-pelle con cui ci serriamo i polsi aggrovigliandoci alla catena di s-montaggo: è per noi questo carnasciale, noi che ci dibattiamo inquieti nel nostro deliquio da bamboccioni mal cresciuti, anime prave e tapine, deformati come siamo dall’ansia perenne d’esser in ritardo sulla copula consumistica dell’ultimo momento, quel rendez-vous colpevole, per un nostos del rimorso perenne a squadernarsi sul palco: e se paiono lontani gli zombies romeriani, a trascinarsi smorti e deformati nelle pieghe dell’economia turbo- capitalista, adesso è tempo di slapstick e surrealismo in salsa post-globale; perché le vacche di Burgher King son tracimate dal recinto, in fuga dal macello, a rotta di capicollo, per ritrovarsi zoccoli all’aria, inscatolate e serrate un tanto al prezzo, un tanto al vezzo.

Consumisticamente pronti alla pugna, per svenderci e comprarci, siam ora uomini e donne passeggeri di noi stessi, imbarcati, insinuati nell’esistente, progenie d’agnelli condannati al Mercato, eppure partecipi e satolli del nulla, adoranti ed incantati dall’ululato dei lupeschi dioscuri che abitano il nostro immaginario, quei vip e vipponi abbacinanti perché ricoperti d’oro e affamati di ridondanza: ed i tre sul palco ci perculano all’unisono, ricordandoci che siamo Capital Victim coclamati, e sul lettino del nostro scontento ci siam inclinati da soli, e nessun Freud in trasfert e mocassini firmati sarà qui ad analizzarci, viepiù a salvarci.

Spettacolo interessante, invero i ragazzi in scena si impegnano, sbuffano, massimizzano lo sforzo, spingendo il pedale scenico sul decostruttivismo simbolico, a depotenziare la pervasività dei modelli economici che permeano le nostre vite in bilico, eppure. Eppure il loro Surrealismo Capitalista non decolla del tutto, risulta annacquato a spritz e noccioline, usa invero l’ impianto anti-recitativo per sovvertire i canoni classici del teatro-denuncia, ma lo fa con l’effigie d’un simbolismo spiccio che procede per semplificazioni in pillole, uno zelig di prosaica auto-evidence che non sovverte il dasein dell’ ontogenesi capitalista, ma ne scimmiotta le sole incongruenze: ci si balocca del Moloch-Capitale negli slittamenti semantici, ma non se ne ricerca il tallone, non se ne vulnera il corpo: ed il Pantagruel lassù, non li degna di sguardo. Pièce “leggerina”, ma i ragazzi “si faranno, anche se han le scarpe strette”(per citar De Gregori): ad maiora!

“Surrealismo Capitalista”, ricerca, elaborazione teorica, drammaturgia e regia di Pierre Campagnoli. Interpreti: Marco Del Pezzo, Nina Lanzi, Pierre Campagnoli.


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