Felice di essere... Sciosciammocca
di Luciana Libero
Aprile 2020. Eduardo Scarpetta è tornato di moda. Oltre ai tanti spettacoli in scena nei teatri napoletani, si attende il prossimo film di Mario Martone, Qui rido io, dedicato all’autore napoletano, con Toni Servillo nel ruolo del drammaturgo. L’attualità sfiora la mania; in febbraio, al Trianon, Fabio Brescia ha messo in scena Tre pecore molto viziose, liberamente ispirato a Le procès Veauradieux di Alfred Hennequin e Alfred Delacour; all’Augusteo, Gianfranco Gallo è andato alle radici di ’O miedeco de’ pazze, il testo tedesco Pension Schöller di Wilhelm Jacoby e Carl Laufs, per farne una riscrittura sospesa tra originale e trasposizione scarpettiana.
Prima dell'emergenza del Coronavirus era programmato in aprile, al Sannazaro, Scarpetta suite, un progetto di Vincenzo Nemolato, Francesco Saponaro, Eduardo Scarpetta e Edoardo Sorgente; uno spettacolo di ricerca sui testi e sui canoni della comicità, teso a costruire una Compagnia Scarpetta con un bando aperto a giovani attori. Sempre in aprile era previsto sul palcoscenico del San Ferdinando, prodotto dallo Stabile napoletano, 'O tuono e marzo del figlio d’arte Vincenzo Scarpetta, con la regia del toscano Massimo Luconi e una ricca compagnia di attori, Anita Bartolucci, Gigi Savoia, Tonino Taiuti, Carmine Borrino, Antonello Cossia e altri.
Ispirato a un lavoro francese, Colpo di fulmine di Kauroff, 'O tuono e marzo ha una trama esilarante, che vede in una notte di marzo, a causa di un tuono fortissimo, una donna che cerca rifugio in una camera d’albergo e si trova nel letto di uno sconosciuto. Dalla notte d’amore nasce un figlio, Felice Sciosciammoca, che verrà conteso da vari padri e susciterà una serie infinita di equivoci. Del testo fece una versione cinematografica e per la televisione Eduardo, negli anni 70, con un cast stellare, tra cui Rina Morelli e Paolo Stoppa, e con Angelica Ippolito, Mario Scarpetta e altri. Negli anni 90 vi tornò Aldo Giuffré.
Com’è noto, Vincenzo debuttò sul palcoscenico paterno nel ruolo di Peppeniello, scritto su misura per lui, il ragazzino pestifero che in Miseria e nobiltà ripete come un mantra: “Vicienzo m’è pate a mme”. Vincenzo eredita compagnia, repertorio e il personaggio di Felice Sciosciammocca, intuizione straordinaria nata con Petito, maestro di Scarpetta, che vuole affiancare l’antica maschera di Pulcinella a un carattere più moderno, meno stereotipato. A lui, creatura senza volto che si tramanda di testimone in testimone e conserva tutti i tratti del tipo fisso della commedia dell’arte, in pochi anni si sostituisce con Scarpetta un vero personaggio, che interpreta il mondo nuovo della Napoli postunitaria.
Ma se nel teatro i copioni della tradizione vanno e vengono in continue riedizioni, suscita curiosità la scelta, da parte di Martone, di questo prossimo film, in lavorazione al Teatro Valle di Roma dove, tra l’altro, debuttò nel 1889 proprio Miseria e Nobiltà. Dalla foto di famiglia in circolazione, il film sembrerebbe optare verso una ricostruzione biografica, non priva di interesse, del commediografo napoletano; della sua vita privata, che lo vide patriarca di varie famiglie, a cominciare da quella, famosa, dei tre fratelli De Filippo, avuti con Luisa, nipote della moglie Rosa. Una biografia segnata anche da un vivace dibattito culturale, che si dispiegò nei primi anni del secolo scorso in una Napoli dove il teatro, il più diffuso genere di intrattenimento, era diviso in due visioni contrapposte: uno dialettale d’arte, propagato da una cerchia di scrittori e letterati del calibro di Salvatore di Giacomo, Roberto Bracco, Ferdinando Russo e altri, alla ricerca di un’offerta che ambiva a essere nazionale, segnato da forti influssi del verismo francese; e un teatro spensierato e ludico, come quello di Scarpetta, che aveva come unico scopo l’intrattenimento del pubblico, fondato su un meccanismo perfetto di comicità, pronto a usare il repertorio europeo come un canovaccio da trasformare in storie e trame napoletane.
La disputa intellettuale vedeva anche la critica schierata a favore dell’una o dell’altra scuola di pensiero, come Michele Uda su Il pungolo e Francesco Verdinois su Il Correre del Mattino, con Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao dietro le quinte. Soprattutto, Scarpetta si trovò contro Marco Praga con la nascente Società degli Autori.
All’artista napoletano, che prendeva spunti da ogni dove, sembrava assurdo che parte degli incassi dei suoi lavori dovesse entrare nelle casse della Società degli Autori. Fu questo scontro - che trovò il suo culmine nella causa per plagio mossa da D’Annunzio per la parodia della Figlia di Iorio - a frenare il suo successo.
Era finita un’epoca. Le rappresentazioni richiedevano delle regole e la società letteraria e colta si schierava contro quell’attore popolare, amato dal pubblico, che si era arricchito manipolando testi francesi, ma ambiva a essere considerato un grande drammaturgo. Con Di Giacomo e gli altri, entrava in scena un teatro sociale che caratterizzò tutto il Novecento, specchio del lato oscuro di Napoli e non solo di famiglie felici e ridanciane. Con lo sguardo di oggi, possiamo dire che aveva ragione Scarpetta. Quel “Qui rido io”, messo come epigrafe sulla villa del Vomero in via Luigia Sanfelice, trova ancora il proprio senso.
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