top of page

Regina madre

Aggiornamento: 9 mag 2021

Cerciello rilegge Santanelli “con fantasia spericolata e astuta”



di Maddalena Porcelli

Regina Madre, l’opera scritta nel 1984 dal drammaturgo napoletano Manlio Santanelli, è da considerarsi un classico se, come dichiara lo stesso autore, “può prestarsi a rivisitazioni e rimaneggiamenti che ne modificano il testo originario. Un’operazione lecita all’interno di un festival, dove si sperimenta l’innovazione ad ampio raggio e dove la fantasia del regista Carlo Cerciello risulta spericolata e astuta”. Cerciello, infatti, l’ha presentata, in una versione nuova rispetto al copione originale, nell’ambito della scorsa edizione del Napoli Teatro Festival, con la produzione del Teatro Elicantropo e della Elledieffe, e la ripropone dal 20 al 24 marzo 2019 al Nuovo in via Montecalvario. Sul palcoscenico, l’esperta e versatile Imma Villa e il convincente Fausto Russo Alesi.

La storia è solo apparentemente semplice e affronta il tema del conflitto madre/figlio, un argomento che è stato considerato, forse più di qualsiasi altro, in ogni sua possibile declinazione. Eppure, Santanelli lo ha elaborato con una tale profondità di analisi da suscitare, oggi, ancora molti interrogativi.

La Grande madre è l’archetipo da cui si dipanano quelle infinite tensioni emotive che incidono, nel bene e nel male, sulla mente di ogni persona. Nella fattispecie, quella relazione di cura primaria, fondata su un rapporto simbiotico e dipendente può, in una dimensione di squilibrio emotivo, generare lacerazioni inguaribili. La nostra protagonista è una madre invasiva e pervasiva, che utilizza il suo potere di educatrice plagiando la mente di suo figlio, con una serie di divieti e imposizioni morali che saranno fatali.

Solo dopo circa trent’anni, nel momento del ribaltamento dei ruoli, con la madre ammalata e bisognosa delle cure filiali, questo bambino, ormai cinquantenne, riuscirà a risvegliare dal torpore le antiche emozioni, a esternare il suo disagio e a rinfacciare alla madre la colpa dei fallimenti di una vita. Ma non sarà sufficiente, perché non gli sarà concessa una possibilità di riscatto, ed egli risulterà perdente, tanto più di fronte a una madre stranita, che non riesce a comprendere il dramma esistenziale del figlio, i cui effetti incideranno in maniera indelebile sulla sua personalità e sulla sua identità irrisolta.

In questa relazione malata, i due diverranno specchio l’uno dell’altra, tanto che il figlio, in un momento di panico e di ansia, consuma le medicine prescritte alla madre. E mentre la malattia di lei appare più immaginaria che reale, quella del figlio è impressa sul suo corpo inibito e segnato da una vita che gli ha restituito solo insicurezze.

Cerciello esaspera questi elementi e, per farlo, si avvale anche delle musiche di Paolo Coletta e della scenografia minimalista e fortemente simbolica di Roberto Crea: un enorme letto nuziale al centro del palco, tra due burattini – Pinocchio e la Fata turchina – sostituisce l’ambiente confortevole descritto da Santanelli.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Comments


bottom of page