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Peter Brook, il “punto” necessario della scena del Novecento

Aggiornamento: 15 set 2022

Secondo l’allievo di Gurdjieff, l’immateriale e l’invisibile dello spirito si manifesta giustificando il senso di un evento teatrale. E questo ha davvero poco a che fare con il teatro borghese che il regista britannico, in più di un’occasione, definì “mortale”



Peter Brook

Di Veronica Meddi


Parigi, 2 luglio 2022, Peter Brook, il “punto” necessario del teatro del Novecento ha compiuto il suo ultimo “movimento” terreno, sperimentando all’età di 97 anni anche la morte del suo corpo.

Nato a Londra nel 1925 il regista britannico, che definirlo tale è decisamente riduttivo, fa della sua vita un capolavoro in costante flusso creativo, mutevole e a tratti immateriale; l’influenza del suo maestro spirituale, Georges Ivanovic Gurdjieff è decisamente uno dei punti cardine nella costruzione continua di quella che è stata una vita intera. A soli 18 anni firmò la sua prima regia, anche se l’incontro con il teatro fu del tutto casuale; un appuntamento di cui il destino aveva bisogno. Nel corso della moltitudine dei suoi esperimenti fu convinto che la sintesi perfetta potesse essere racchiusa in tre parole chiave: répétition, répresentation e assistance. Parole, solo tre parole per entrare nel generoso mondo di Brook. Attraverso forme semplici, la materia immateriale e invisibile dello spirito si manifestava giustificando – solo lei, per Brook – il senso di un evento teatrale; e questo aveva davvero poco a che fare con il teatro borghese che il regista, in più di un’occasione, definì “mortale”. Tutto il mondo conosce – e se così non fosse mi verrebbe da dire che il nulla invade prepotente il nostro spazio produttivo – le grandi opere dell’immenso artista che attraversano teatri, cinema e tv di tutto il mondo; per citarne solo alcune teatrali: The Brother Karamazov, da Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Romeo and Juliet di Shakespeare, Ring Round the Moon di Jean Anouilh al Globe Theatre, Le Balcon di Jean Genet, Oedipus di Seneca, La cerisaie di Anton Čechov, Un Flauto Magico da Wolfgang Amadeus Mozart, Piccolo Teatro di Milano. Questi e molti altri. Amava viaggiare, amava l’arte, amava la vita, e aveva detto: “Il teatro non è estraneo alla vita, il vero teatro si occupa di vita e di esseri umani, di creare per loro una esperienza che va oltre l’ordinario, una sorpresa, così che quando lasci il teatro senti che hai ricevuto qualcosa che prima non avevi”. Fu un uomo pronto ad aprirsi al soprannaturale, all’insolito, all’illusione, non marginalizzò nulla, assaporò tutto pur di scoprire la vita. “Non ho mai creduto in un’unica verità” era solito dire, garantendo poi la sua onestà con i fatti identificandosi ardentemente con un punto di vista mutevole, d’altronde il teatro ha la potenzialità di sostituire un unico punto di vista con una molteplicità di visuali uniche, difendendolo fino alla morte, ma senza mai prendersi troppo sul serio. Solo dolcezza. Con il vivo interesse di creare immagini, girò il mondo con i suoi spettacoli, da quelli ironici, giocosi e malinconici (malinconia che l’Africa gli mantenne viva), lasciò le sue impronte dell’anima. Annullò quelli che per lui erano inutili artifici; doveva scattare la fantasia per realizzare la libertà solo così si poteva giungere alla verità profonda. L’intimità del teatro era l’esperienza sublime e necessaria di cui Brook non poteva fare a meno. La collettività doveva goderne. “Quando un gruppo di persone è riunito per un evento molto intenso, che deve esprimere tutto ciò che in poesia un grande autore può dare, lo spirito diventava tangibile come è tangibile che quest’impressione non si può avere in solitudine e il suo senso per tutti è che la vita può essere vissuta”.

2 luglio 2022, la corda tesa non si è posata inerme a terra. Per Peter Brook, vive sono ancora la prima fase, quella della preparazione che pulsa, e la seconda fase che altro non è che quella della nascita.


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