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“Padri e figli” di Ivan Turgenev

Uno dei più bei romanzi della Letteratura russa. Al Mercadante di Napoli con la regia di Fausto Russo Alesi



“Padri e figli” di Ivan Turgenev

di Rita Felerico


Pubblicato per la prima volta sulla rivista Il messaggero russo nel 1862, il romanzo di Ivan Sergeevič Turgenev, Padri e Figli, non ebbe all’inizio il successo aspettato. Fu dopo che si impose come uno dei più bei romanzi della letteratura russa; nelle pagine, con sguardo profondo e critico, lo scrittore descrive la società aristocratica, il ruolo dei così detti ‘parrucconi’ e la passione nichilista dei giovani in lotta contro le ‘vecchie idee’. Proibito in Russia, dallo zar Alessandro II, le pagine del romanzo furono poi amate in tutto il mondo, perché specchio veritiero della società, di tutte le società in movimento e in trasformazione nel flusso della storia. I giovani nichilisti descritti da Turgenev, le figure caratteriali borghesi, aristocratiche, contadine sono di ogni Paese e di ogni società. Nella trasposizione teatrale tradotta e adattata da Fausto Malcovati (uno fra i più grandi conoscitori della Letteratura russa) per la regia di Fausto Russo Alesi lo spettacolo – quattro ore e mezzo piene di recitato – in cartellone al Teatro Mercadante di Napoli dal 22 al 27 marzo, si presenta come una appassionata e partecipata lettura interpretativa che – seppur divisa in due parti, ovvero giorni di rappresentazione – non ha mai perso mordente, dando con il suo tocco di contemporaneità, nei costumi, nella messa in scena, nuova vita ad uno dei classici più amati. Una sfida, se si pensa alla densità dei richiami filosofici del testo, delle situazioni e relazioni che si intrecciano fra i personaggi e le loro storie. Bravissimi i giovani tredici attori impegnati in questo progetto fin dal 2016, nell’ambito di un corso di alta formazione del Centro Teatrale Santacristina; spicca nel ruolo di Bazàrov lo struggente realismo del giovane Matteo Cecchi e un particolare segno di menzione si deve a tutte le donne in scena ed alla giovane pianista Esmeralda Sella che si è inserita con il suo pianoforte con sensibilità, precisione e tono all’interno della drammaturgia e del recitativo, attraversandolo nei suoi momenti più significativi e cruciali. Una musica – composta da Giovanni Vitaletti – che si fa linguaggio nel linguaggio, e come nei film muti ha un ruolo non di mero accompagnamento. E poi la scenografia , curata da Marco Rossi, essenziale, sullo sfondo nudo del palco, spogliato delle sue strutture di ‘bellezza’; si struttura e destruttura tramite l’azione degli stessi attori che maneggiano le grosse assi, incastrandole e disincastrandole, a formar tavoli e piani per sostenere sedie.

“Andiamo in scena mentre l’Europa è sconvolta da una guerra che fa orrore a tutti noi. Andiamo in scena perché è un atto vitale e di confronto tra esseri umani. Andiamo in scena convinti che le parole di Turgenev ci aiutino a capire quanto inaccettabile e insensata sia la violenza di un uomo su un altro uomo o su un intero popolo. Dialogo, non carri armati, non bombe, non muri. Dialogo”. Così Fausto Malcovati ha introdotto lo spettacolo, interpretando un inquieto Turgenev sempre in scena a spiare e osservare i suoi personaggi, ad ascoltare i loro discorsi, quelli dei padri a guardia delle tradizioni ormai invecchiate, quelli dei giovani che desiderano costruire un nuovo mondo. Un Turgenev che mi ha ricordato nel bianco abito e nel pizzetto del viso l’inquieto Pirandello e il suo tormentato rapporto con i figli, soprattutto con Stefano, che sarebbe interessante analizzare, ma non è questa la sede.

Nello scontro generazionale, lo scrittore russo non prende mai le parti di nessuno, preferisce descrivere gli accadimenti e le scelte dei protagonisti con spirito libero, critico e senza pregiudizi. La lettura corale del regista si pone su questa scia, anche quando con irruenza decide di inserire brani di canzoni di oggi, a sottolineare la complessità dell’animo umano, mai letto fino in fondo nella sua completezza. La parola letteraria allora è lo scudo per poter rafforzare l’arma della ‘bellezza della cultura’, contro ogni sopruso e nascondimento di verità e il teatro ne è e ne può essere un mezzo e uno strumento di grande valore.


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