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Nuove Sensibilità 2.0 per “Dov’è la vittoria”


Di Agnese Ferro, Giuseppe Maria Martino, Dario Postiglione lo spettacolo è andato in scena a novembre al Teatro Sannazaro di Napoli.

“Dov’è la vittoria” è uno spettacolo che stimola la coscienza critica dello spettatore, pone degli interrogativi scomodi, con la consapevolezza di farsi carico di un’evidenza profetica che fa emergere l’assurdità della commistione tra satira e realtà, tra grottesco e vita reale



Nuove Sensibilità 2.0 per “Dov’è la vittoria”

di Francesco Gaudiosi


Al Teatro Sannazaro di Napoli è andato in scena a novembre “Dov’è la vittoria”, vincitore al premio L’Artigogolo e della Menzione Speciale per la migliore attrice (Martina Carpino) al premio Nuove Sensibilità 2.0 del Teatro Pubblico Campano | Premio del pubblico al Festival Inventaria 2019.

Lo spettacolo, scritto da Agnese Ferro, Giuseppe Maria Martino e Dario Postiglione, vede in scena Martina Carpino, Luigi Bignone e Antonio Elia per una produzione Teatro Di Napoli – Teatro Nazionale/Casa Del Contemporaneo.

Il processo creativo che ha portato alla stesura di questa drammaturgia ha del paradossale, se si pensa che la pièce ha debuttato nel “lontano” giugno 2021 in occasione del Campania Teatro Festival - CTF. Infatti, nello spettacolo si immagina la costruzione di un personaggio imprevedibile e grottesco, politicamente corretto ma profondamente radicato nella storia del Paese italiano sempre più fascinato dall’ascesa dei movimenti sovranisti. Si tratta dell’avvenente Vittoria Benincasa, rampante leader di un partito di estrema destra e candidata alla Presidenza del consiglio. È un vero e proprio animale politico, che si forma e si sviluppa come esponente di partito sui generis per attrarre masse di elettori affascinati dal suo vissuto, dal suo carisma, dalle sue parole così distanti dalla politica tradizionale.

Nella regia di Giuseppe Maria Martino, la scena contribuisce a instaurare un dialogo costante tra i tre interpreti in scena, attraverso una creazione del “personaggio politico” Benincasa che possa essere sempre più attrattivo verso le masse attratte da una narrazione di sofferenza, di riscatto sociale, di sfida alle istituzioni precostituite. Martina Carpino interpreta in modo eccellente la protagonista dello spettacolo, attraverso un graduale affinamento del ragionamento politico della Benincasa, della sua personalità e della sua vis propagandistica; mentre gli altri due interpreti in scena, Luigi Bignone e Antonio Elia, sono due caratteri multiformi che cambiano il proprio ruolo in funzione della costruzione della protagonista, come una sorta di grilli parlanti che suggeriscono le prossime mosse per arrivare al traguardo finale, alla Vittoria appunto.

Se è vero che il testo segue un impianto evidentemente umoristico, persino provocatorio alla luce di una sua genesi risalente a più di un anno e mezzo fa, è anche vero che assistere a uno spettacolo del genere nel novembre del 2022 rappresenta un evento scenico evidentemente verosimile e rassomigliante alle attuali circostanze politiche del nostro Paese. Ecco che dunque l’umorismo di cui il testo intende avvalersi si trasforma facilmente in un’amara inquietudine, una costatazione di un’evidenza sociale forse già ben chiara agli autori di questo testo prima che prendesse forma l’attuale scenario politico italiano, con le sue evidenti contraddizioni ma, soprattutto, con un personaggio politico così affine a quello descritto nella persona di Vittoria Benincasa.

Provocatorio è senz’altro il fatto che sulla locandina vi è scritto non solo l’irridente dicitura “dopo cento anni siamo tornati”, ma anche l’ironico hastag #velavevamodetto, dimostrazione della capacità anticipatoria degli autori nel concepire uno spettacolo non così distante dall’attuale contesto sociale.

Come afferma il regista Martino nelle note di regia, “Volevamo far ridere ma forse abbiamo fallito. Man mano che lo svolgevamo, l’argomento ci bruciava tra le dita: l’attualità ci dava conferma dell’assurdo che fantasticavamo. Di conseguenza l’umorismo si faceva più nero del previsto, la farsa virava verso il grottesco, la commedia diventava indigesta e corrosiva. Di fronte a una realtà che si fa parodia di se stessa, la satira contemporanea ci è parsa un genere compromesso e consolatorio, e allora siamo andati a fondo con questo disagio. Vorremmo che le risate del pubblico finissero con un rospo in gola”. L’auspicio del regista è senz’altro riuscito, con uno spettacolo che si chiude lasciando lo spettatore col senso di inquietudine e il dubbio che la finzione scenica a cui si è appena assistito non sia poi così distante dalla realtà sociale e politica del nostro tempo.

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